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ammazzati gli amici e prefetti di esso padre, presa la ròcca e violate le moglieri e concubine che a Tunesi aveva lasciate. Intesa questa impensata e crudele nuova, e ne l’animo fieramente perturbato, si deliberò non perder tempo, ma passare in Africa, sperando, prima che Amida potesse nel nuovo stato confermarsi, di poterlo opprimere e ricuperare il perduto regno. Indi, con quella maggior celerità e diligenza che fu possibile, cominciò a fare gente e largamente dar danari, avendo il vicerè publicata la immunità a tutti i condennati per cose capitali, agli esuli e altri simili malfattori, mentre volessero militare e seguire Muleasse a ricuperare il suo regno in Africa. Per questo congregò egli quasi uno giusto esercito. Di questa gente Gioanni Battista Lofredio fu fatto capitano. Era il Lofredio gentiluomo neapoletano, di buono ed elevato ingegno e molto desideroso di acquistarsi fama in l’arte militare, oltra che sperava anco trarne gran profitto. Si accordò il Lofredio col re africano di servirlo tre mesi e condurre quelli fanti, che poteano essere poco più di duo millia, tra li quali furono alcuni nobili de la città de Napoli, che di brigata in Africa navigarono e a la Goletta con prospera navigazione pervennero. Saranno forse alcuni di voi, signori, che volontieri intenderiano quali furono le cagioni e li consiglieri che mossero e indussero Amida a cacciar del regno il padre. Lasciando adunque l’appetito del regnare, vi dico che con lo scelerato Amida erano alcuni de li principali de la corte, li quali conoscevano che l’ingegno di quello era facile da essere governato e rivolto a ogni parte che si volesse. Tra questi era Maomete, figliuolo di quello Boamare, che sotto il regno di quello re che regnava innanzi Muleasse fu manifete. E perchè avea presa per moglie Raamana, giovane di incomparabile bellezza e figliuola di Abderomene, castellano de la ròcca de la città, de la quale Muleasse si trovava fieramente innamorato, come esso Muleasse fu fatto re, lo fece prima castrare e poi miseramente morire. Per questa morte del padre, Maomete di odio più che vatiniano odiava il re, e lungo tempo avea nodrito in petto l’immortale odio, aspettando l’occasione che con eterna roina di Muleasse il potesse mettere in esecuzione. Vi era uno altro Maomete, cognominato Adulze, moro nativo di Granata, che di fare schioppetti era artefice miracoloso. Questi altresì voleva uno grandissimo male a Muleasse, perciò che il re in luoco di grandissima ingiuria sempre il chiamava «schiavo nequissimo e più di ogni altro nequissimo». Questi dui, pensando che fosse venuto il tempo di cacciare via il re cotanto da loro odiato, fecero una congiura con alcuni