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ogni linguaggio di tutte le città di Italia sì naturalemente, come se in quelli luoghi fosse nasciuto e stato da fanciullo nodrito. Avea egli fatto per buona via intendere al guardiano che il prencipe di Bissignano era in Ferrara per andare a Milano al duca Filippo Vesconte, mandato da Alfonso di Ragona per affari importantissimi. Essendo adunque a la messa, uno segretario del marchese fece chiamare il guardiano e li disse come il signore suo l’avea mandato ad accompagnare il prence di Bissignano, barone de li primi nel regno di Napoli, e che detto prence voleva, finita la messa, parlare seco. Il buon guardiano, udendo questo, prese quattro o cinque frati de li più vecchi del convento, e, trovato che la messa era quasi finita, attese il fine. Era il Gonnella vestito di ricchissime vestimenta, di quelle del marchese, con una gran catena di oro al collo, e se ne stava con mirabile gravità leggendo l’officio de la beatissima Vergine Maria. Come la messa fu finita, tutti quelli gentiluomini e tutti li cortegiani che accompagnavano il prencipe, non più Gonnella, molto riverentemente con le berrette in mano se gli inchinarono dandogli il buono giorno, come si costuma. Se gli accostò il guardiano, e, salutandolo, li disse che fosse il ben venuto. Egli cortesemente il saluto li rese; poi li disse, udendolo tutti coloro che seco erano: – Padre molto riverendo, io sono sempre stato grandemente divoto e affezionato di questa tua santissima religione, come è tutta la casa de li signori e prencipi Sanseverini miei avoli, e avemo tutte le sepolture nostre ne le chiese de lo tuo sacro ordine. E perchè io per l’ordinario soglio far celebrare ogni anno quattro anniversarii con l’officio e la messa de li morti, e dimane è il giorno di uno, ancora che sia certo che a lo prencipato mio nel Regno non mancheranno di farlo fare, nondimeno per maggiore mio contento io ti prego che domattina facci cantar solennemente il vespro, e così il mattutino con le nove lezioni, e la messa de li morti. Io ci verrò a udire il tutto e ti farò una elemosina conveniente al grado mio. – Il guardiano lo ringraziò dicendoli che il tutto si faria, e che di più farebbe che tutti li frati direbbero la messa de li morti. Allora il contrafatto prence chiamò a sè il suo maggiordomo e gl’impose che parlasse col padre guardiano e facesse quanto di ordine suo sapeva: che venti ducati, e di più per le private messe dieci ducati, dessi. E poi con la compagnia si partì. Rimase il maggiordomo e al guardiano dimandò quanti frati aveva. E inteso il numero, li disse: – Padre mio, il prence mio signore mi ha ordinato stamane che io ti faccia apprestare uno buono disinare, come è l’usanza sua sempre di