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venutami questa a le mani, ho voluto che sotto il vostro nome ella esca fore e resti testimonio appo tutti de l’amore che mi portate e de l’osservanza mia verso voi, che per tante vostre doti vi amo e onoro. Vi prego poi che essa novella facciate vedere a li magnifici vostri fratelli, che io come miei signori riverisco, il signor Francesco e signor Augustino. Che nostro signore Dio tutti lungamente vi conservi e vi doni quanto desiderate. State sano.
NOVELLA II
Uno corteggiano va a confessarsi e dice che ha avuto volontà
di ancidere uno uomo, ben che effetto nessuno non sia seguìto.
Il buon frate, che era ignorante, nol vuole assolvere, dicendo
che «voluntas pro facto reputatur» e che bisogna avere l’autorità
del vescovo di Ferrara. Su questo una beffa che al frate è fatta.
Sì come detto si è, degni di acerbissima punizione sono coloro li quali odono le confessioni di questi e quelli e non sono atti a saper giudicare la gravezza e la differenza de li peccati, e non hanno cognizione de le scommuniche così episcopali come del sommo pontefice, e de la ragione canonica e de li casi che molto spesso accadono. Però se talora vien loro alcuna beffa fatta, pare che ciascuno se ne allegri. Onde a proposito di questo mi piace narrarvi una alta beffa fatta da uno galante uomo a uno de questi ignoranti frati. Udite come avenne il caso. Suole essere communemente consuetudine che, dopo la pasqua de la resurrezione, li compagni dimandano l’uno a l’altro che penitenzia il padre spirituale gli ha data, se interroga bene, se è rigido o piacevole, e altre simili cose. Ora, essendo al tempo del marchese Nicolò da Este, vostro onorato avolo paterno, in Ferrara uno camariere di esse marchese ito a confessarsi col guardiano di San Francesco, tra l’altre cose che si confessò li disse che era perseverato cerca sei mesi con volontà determinata di ammazzare uno suo nemico, ma che mai non gli era venuto fatto di poterlo uccidere; e che poi, malcontento di questo peccato, si era pentito e perdonatogli ogni ingiuria. Il guardiano, che era poco dotto, udendo questo, il reputò uno gravissimo peccato, e li disse: – Ahi! figliuolo mio, come ti sei tu lasciato incorrere in così enorme e nefando peccato? Sappia che io non ti posso assolvere. E’ ti converrà andare a parlare a monsignore lo nostro vescovo, perchè il caso è riservato a lui. – Voi non mi avete, padre mio, bene inteso,