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tutti gli infelici infelicissimo! Io ne la casa mia propria, ne la patria mia nativa, ne l’avito e paterno mio dominio ritrovo ora li miei vassalli e sudditi vie più crudeli che non ho fatto fore di qui li nemici. Quando si fece il fatto di arme là ad Andrinopoli, io, valorosamente combattendo per l’onore de la patria mia e di quei cittadini che al presente mostrano non mi riconoscere e così contrari e ingrati contra me si discopreno, perchè l’evento de la battaglia suole esser dubbio, avendo io fatto officio di provido capitano e non meno di prode soldato, cominciarono li miei commilitoni voltare vituperosamente le spalle e fuggire. Per questo io fui còlto nel mezzo de li nemici, e per essere da tutti li miei abbandonato, poi che vidi che indarno me affaticava o per restituire la battaglia o per levarmi vivo fora de le mani de’ li nemici, fui forzato, avendo già alcune ferite ricevute, rendermi prigione. E in quella misera calamità tanto di bene pure mi avenne, che la maiestà del mio volto e l’essere conte di Fiandra mi salvò, e di modo a quelli da li quali fui preso venerabile mi rese, che io da loro non ebbi nè ingiuria nè disonore alcuno, anzi per lo spazio di anni diciotto fui, de la libertà in fuori, assai ben trattato. Volsi più e più volte mettermi a pagare la taglia per liberarmi, ma non ne volsero parola ascoltare già mai, e meno mi volsero dare commodità che io potessi a nessuno de li miei scrivere. A lungo poi andare, veggendomi non essere più con tanta solenne custodia tenuto come da principio solevano, mi deliberai fuggire. Indi, pigliata uno dì la occasione, là, cerca mezza notte, che ogni cosa era quieta, me ne fuggii. Ma di novo fui da alcuni barbari, che non mi conoscevano, fatto prigionero. A me non parve di scoprirmi loro ciò che io mi fossi. Così eglino mi condussero in la Asia e mi vendettero per vile schiavo a certi soriani, con li quali per ispazio di dui anni dimorai, lavoratore di campi, lavorando e zappando la terra, tagliando legna, attignendo acqua, e altri servigi rusticani a la meglio che poteva facendo; di modo che con queste mani, con le quali tante fiate avea onoratamente combattuto e vinti gli avversari e con imperiale scettro tanti popoli governato, facea tutti gli esercizii de la villa. Finalmente, avendo nostro signore Iddio compassione a la mia lunga e faticosa servitù, passando per quei luoghi, ove io in un boschetto tagliava legna, alcuni mercanti tedeschi, perchè era tregua tra latini e orientali, mi raccomandai loro; li quali, mossi del caso mio a compassione, non mi conoscendo per altro che per uno povero fiammengo, con picciolo prezzo mi riscattarono e mi donarono anco danari da poter più commodamente ridurmi a casa.