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governate che per tuo pessimo governo sono tombate in roina, hai finto di essere morto? Che premio, che lode aspettavi tu di questa sciocca simulazione? E se hai voluto che ciascuno, così greco come latino e di ogni altra nazione, credano la tua morte, con quale colore di ragione vuoi tu che noi ora crediamo che tu sia vivo, essendo stato fora de la cognizione di tutto il mondo circa venti anni? Con quale velo di tenebre hai tenuto tanto tempo ascosa la maiestà del tuo volto, a tutti così nota? con ciò sia cosa che per ispacio di quattro lustri nessuno ti abbia veduto e tu non sia stato in veruno luoco che si sappia. Che vuole dire che, vivendo il re Filippo Augusto e molti de li suoi baroni e signori fiandresi, che ti potevano convincere per bugiardo, non sei a casa ritornato e non sei risorto fora de la sepoltura? che nuova forma hai tu assunta, ingannando con mentite larve tante persone? Dimmi: essendo già così lungo tempo trascorso che il vero Baldoino per morto abbiamo amaramente pianto, ti pare egli conveniente che così di liggiero madama la contessa, figliuola sua legittima e erede degli ampli suoi dominii, e tutti noi ti debbiamo credere che tu sia il vero Baldoino? Non si sa egli altre volte essere stati uomini ignobilissimi che hanno avuto ardire di fingere essere di reale sangue nati? Di cotesti inganni, di queste simulate fizzioni assai se ne sono viste, e dentro li buoni autori de l’una e l’altra lingua tutto il dì molti se ne leggono. Il perchè non bisogna essere troppo credulo, fin che a qualche chiara certezza non si pervenga. Tu deveresti ben sapere che dapoi che il vero Baldoino partì di queste contrade e navigò in Levante, li danni, le desolazioni e li dirubamenti e le roine di varii luoghi, che l’Annonia e la Fiandra in tante crudeli e sanguinose guerre hanno sofferto. Ma tu, in tante nostre afflizioni e travagli, in tanti gravissimi disturbi, che alleggiamento, che soccorso, che refrigerio ne hai tu apportato? Tu vuoi adunque che questa terra, coteste contrade, questo paese di Annonia e Fiandra abbino da riconoscerti per loro cittadino, per loro conte e vero signore, non avendo tu ne li bisogni loro urgentissimi, ne le tribulazioni loro voluto mai in conto alcuno riconoscerli per patria, per vassalli, nè per amici? Che rispondi a queste ragioni che dette ti sono? – Egli allora, punto non smosso nè cangiato in viso, pieno di una audace costanza, non come reo dinanzi al giudice rispose, ma, come naturale e vero signore che riprendesse e accusasse li suoi sudditi, così audacemente li disse: – Cotesto mio infortunio è veramente, più di quello che io mi persuadeva, grandissimo. E come può egli essere maggiore? O me sfortunato! o me tra