mazzarlo; Geronimo, egli è venuto da Lione un mercatante, che non vuole per ora essere conosciuto in Anversa, e si è ritirato al mio giardino. Egli per me ti prega che tu venga fino là, che ti ha da parlare di cose di grandissima importanza. Credette Geronimo al Turchi, e disse di andarvi: e così subito che ebbe desinato, solo vi ai. dò. E non trovandovi il mercatante, dimandò ove fosse. Il Turchi rispose che era ito in un suo servigio, ma che tantosto ritornerebbe. Si misero tutti due a passeggiare per la sala terrena, ove la ingannevole sedia era posta. In quello entrò il ribaldo Romagnuolo, e disse loro che il mercatante veniva; e reggendo che il Deodati era vicino alla artificiosa sedia, non vi mettendo mente, egli il prese di peso, e lo mise dentro quella a sedere. Credeva Geronimo che il Romagnuolo scherzasse; ma non fu si tosto assiso, che si sentì d’ogni intorno essere inchiavato e prigione; e quasi fuora di sè, non sapeva che dirsi. Usci lo scellerato Romagnuolo fuora della sala, e serrò l’uscio della stanza. Stava il Deodati come trasognato, quando il traditore Turchi, preso un pugnale pistoiese che colà aveva messo, disse: Geronimo, tu ti devi ricordare delle gravissime ingiurie che a Lucca e qui" mi hai fatte. Ora non siamo a Lucca, -ve tu possa farmi incarcerare; tu sei in mio potere. tu ti delibera farmi uno scritto di tua mano del tenore che è questo da me scritto, o io con questo pugnale ti levo la vita. Lesse il misero Deodati lo scritta per lo quale si confessava debitore di alcune migliaia di scudi al Turchi, e disse che ne faria un simile; e di propria mano ne fece uno, e lo sottoscrisse, facendo la data di alcuni mesi innanzi. Ci sono molti che affermano lo scritto essere stato di altro tenore, cioè che Geronimo confessava avere proceduto malignamente contro il Turchi a Lucca, ed essere stato egli che sfregiato l’avea sul viso, acciò che paresse che esso Turchi avesse giusta cagione di ammazzarlo. Ma sia come si voglia, può essere l’uno e l’altro. Avuto che ebbe il Turchi Io scritto, e ripostolo in seno, cacciò mano al pistoiese, e diede sul capo al Deodati una ferita. Ma perchè era debole, lo ferì alquanto su la testa e in una guancia. Il misero Geronimo dimandava con pietosa voce: mercè, per Dio, mercè, non mi ancidere. Il Turchi o si movesse a pietà, o non si sentisse forte, che più si crede, o che che se ne fosse cagione, gettato il pugnale in terra, se ne uscì fuora; e trovato Giulio che l’attendeva, li disse: io gli ho data una ferita, e non mi dà il cuore di ucciderlo: che faremo noi? Che faremo? rispose il ribaldo Romagnuolo: poichè, padrone, siamo entrati in ballo, egli ci conviene ballare, ed ammazzarlo; altrimenti se il fatto resta così, egli ci farà morire noi. Va dunque tu, e levagli la vita, soggiunse il Turchi. Giulio allora che doveva in Romagna, per quelle loro maladette parzialità, ove ammazzano sino i fanciulli nella culla e per le chiese, doveva, dico, essere stato a cento omicidii, entrò dentro nella. sala; e preso il pistoiese, andò alla vòlta dello sfortunato Deodati; il (piale, come vide venirselo addosso, pietosamente gli disse: deh, Giulio, per l’amor di Dio non mi ancidere: io già mai non ti offesi. Se tu quindi cavare mi vuoi, io ti farò.or ora uno scrittod mia mano di due o tre mila ducati, e di molti più, se più ne vuoi; e ti prometto la fede mia di non mai offenderti nè in detto ne in fatto. E volendo altre parole dire, il crudele llomagnuolo gli diede sul capo una mortale ferita, e due e tre pugnalate nel petto; di maniera che lo sventurato Geronimo miseramente se ne mori. Fatto così orribile omicidio, Simone entrò dentro, e da Giulio aiutato dischiavò la sedia, e cavo cadavere Inora. Tutti due poi, noi. potendo portare, lo strascinarono per terra tino (lenirò la cantina, e quivi in un cantone il seppellirono. Andarono poi a fare i l’atti loro così lieti e con buoni visi, come se avessero fatta una lodevole e santa impresa. La sera, fu indarno dai suoi aspettato Geronimo a cena e a letto. Il giorno seguente poi non comparendo Geronimo da nessuna banda, fu cagione che per versa molte cose si dicessero. Erano i due luogotenenti giudici, il civile, dico, e il criminale, cugini della signor Veruè, e di tutti e due il Turchi era forte dimestico, e spesso erano soliti familiarmente di mangiare insieme. Il perchè esso Turchi, il secóndo giorno dopo il perpetrato omicidio, andò a cena col luogotenente civile. per spiare ciò che del Deodati si diceva. Onde venendo a parlare dell’occorrenza del caso, e che gran cosa era che non si ritrovava indizio veruno di Geronimo, ove fosse andato. disse il Turchi: egli si vuole. signor mio. usare ogni diligenza per vedere, se possibile è, di spiare alcuna cosa di lui. Noi avemo, soggiunse il giudice, oggi conchiuso in consiglio di ricercare dimane tutti gli orti e le case che sono alla tal banda. ove anco io ho il mio giardino, e non mancale d’investigare per ogni luogo ove egli era uso di bazzicare. Simone disse che era benissimo fatto, e gli pareva un’ora mille anni di partirsi. Cosi penato che si fu. trovate alcune sue scuse, si parli, e Come fu a Gasa, a Giulio disse: egli, Giulio, ci conviene avere gli ocelli di A.rgoj e provvedere che questa notte facciamo di modo, che dimitre non siamo cólti all’improvviso; e gli disse la deliberazione che in consiglio si era fatta. Poi li soggiunse: tu sai che la sedia