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novella i. 225

dati: Geronimo, egli è venuto da Lione un mercatante, che non vuole per ora essere conosciuto in Anversa, e si è ritirato al mio giardino. Egli per me ti prega che tu venga fino là, che ti ha da parlare di cose di grandissima importanza. Credette Geronimo al Turchi, e disse di andarvi: e così subito che ebbe desinato, solo vi ai. dò. E non trovandovi il mercatante, dimandò ove fosse. Il Turchi rispose che era ito in un suo servigio, ma che tantosto ritornerebbe. Si misero tutti due a passeggiare per la sala terrena, ove la ingannevole sedia era posta. In quello entrò il ribaldo Romagnuolo, e disse loro che il mercatante veniva; e reggendo che il Deodati era vicino alla artificiosa sedia, non vi mettendo mente, egli il prese di peso, e lo mise dentro quella a sedere. Credeva Geronimo che il Romagnuolo scherzasse; ma non fu si tosto assiso, che si sentì d’ogni intorno essere inchiavato e prigione; e quasi fuora di sè, non sapeva che dirsi. Usci lo scellerato Romagnuolo fuora della sala, e serrò l’uscio della stanza. Stava il Deodati come trasognato, quando il traditore Turchi, preso un pugnale pistoiese che colà aveva messo, disse: Geronimo, tu ti devi ricordare delle gravissime ingiurie che a Lucca e qui" mi hai fatte. Ora non siamo a Lucca, -ve tu possa farmi incarcerare; tu sei in mio potere. tu ti delibera farmi uno scritto di tua mano del tenore che è questo da me scritto, o io con questo pugnale ti levo la vita. Lesse il misero Deodati lo scritta per lo quale si confessava debitore di alcune migliaia di scudi al Turchi, e disse che ne faria un simile; e di propria mano ne fece uno, e lo sottoscrisse, facendo la data di alcuni mesi innanzi. Ci sono molti che affermano lo scritto essere stato di altro tenore, cioè che Geronimo confessava avere proceduto malignamente contro il Turchi a Lucca, ed essere stato egli che sfregiato l’avea sul viso, acciò che paresse che esso Turchi avesse giusta cagione di ammazzarlo. Ma sia come si voglia, può essere l’uno e l’altro. Avuto che ebbe il Turchi Io scritto, e ripostolo in seno, cacciò mano al pistoiese, e diede sul capo al Deodati una ferita. Ma perchè era debole, lo ferì alquanto su la testa e in una guancia. Il misero Geronimo dimandava con pietosa voce: mercè, per Dio, mercè, non mi ancidere. Il Turchi o si movesse a pietà, o non si sentisse forte, che più si crede, o che che se ne fosse cagione, gettato il pugnale in terra, se ne uscì fuora; e trovato Giulio che l’attendeva, li disse: io gli ho data una ferita, e non mi dà il cuore di ucciderlo: che faremo noi? Che faremo? rispose il ribaldo Romagnuolo: poichè, padrone, siamo entrati in ballo, egli ci conviene ballare, ed am-