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216 parte quarta

IL BANDELLO

A MONSIGNOR

GUGLIELMO LURIO

signor di Lunga, senatore regio a Bordò

signor suo onorando


Io mi persuado, monsignor mio osservandissimo, che ne’ giudicii, che tutto il dì nel vostro senato si fanno, si debbano nei casi criminali trovare molti eccessi enormi, meritevoli di gastigo straordinario, sia pure tanto grave quanto che ogni crudelissimo tiranno imaginare si sapesse. E della gravissima pena che si dà alle scelleraggini de’ ribaldi, che tutto il dì fanno le sconce ed esecrabili cose, assai sovente in diversi luoghi di questo gran regno se ne veggiono chiarissimi esempi. E questo non ostante, tanta è la pessima malvagità di molti, o venga dalla loro per vizii corrotta natura, o vero dalla viziosa educazione e nodritura che da fanciullo avuta hanno, o da che che si sia, che non si vogliono o non sanno (io non dirò mai che non potessero) ammendarsi. Con questi adunque non giovano le forche, non vagliono i ceppi e le mannaie, non lo squartarli a brano, spesso spesso arrostirgli a modo di perdici e di altri augelletti a fuoco lento. Onde dico che non si può metter loro una dramma di terrore, che non perseverino ognora operando di male in peggio, mercè del guasto e corrotto mondo, non solamente per la cristianità, ma anco per le regioni degl’infedeli. Ora io non so già se da molti anni in qua tanto inaudito ed orrendo caso sia stato dedotto al vostro Parlamento (come qui si nomina il senato) quanto questo anno passato è in Fiandra dentro la famosa terra d’Anversa avvenuto. Il che non è molto che ci narrò qui a Bassens, alla presenza di madama Costanza Rangona e Fregosa, Niccolò Nettali, mercatante fiorentino. Veniva egli da Parigi per andare a Bordò; e dimandato se nulla avea di nuovo, ci narrò l’istoria come era successa, ritrovandosi egli allora in Anversa. La cosa ci empì tutti di meraviglia e d’orrore. Io per aggiungerla alle altre molte mie novelle la descrissi, e subito mi deliberai al vostro generoso e dotto nome dedicarla. Non mi sono già messo a mandarvela, perchè io giudichi che la cosa sia degna del vostro valore; chè non sono così poco giudicioso, che io non co-