Pagina:Bandello - Novelle. 4, 1853.djvu/16

me ottimamente conosciute, degne di molto maggior cosa, ma per dar un padrone a questa mia figliuola, che sotto il vostro nome potrá sicuramente in ogni luogo gire, massimamente se il nostro giudicioso signor Renato Trivulzo, vostro onorato cugino, degnerá di lodarla. State sano.

Novella XXIV

Una giovanetta, essendo suo fratello da uno sbirro assalito,
ammazza esso sbirro ed è da la giustizia liberata.


Poi che il signor Guarnero, amabilissime donne e voi cortesi signori, mi comanda che io novellando intertenga questa mobilissima compagnia, ed io lo farò molto volentieri, a ciò che quando quegli uomini che poco hanno de l’uomo biasimano il sesso femminile, e dicono che le donne non son buone se non per l’ago e per l’arcolaio e di star in cucina a favoleggiar con le gatte, chiunque sará veramente uomo e tutte voi, donne, possiate lor dare la conveniente risposta che questi inumani e goffi mertano, a ciò che, come si suol dire, «Quale dá l’asino in parete, tale riceva». Ne crediate ch’io voglia ora parlare de la madre di Evandro, Carmenta, né di Pentesilea né di Camilla né di Saffo né de la famosa Zenobia palmirena né de le antiche e fortissime amazoni né di molte altre che in arme e lettere acquistarono pregio e sono da’ famosi scrittori celebrate. Io non voglio ora uscir d’Europa. Che dico di Europa? non vo’ partirmi da la bella Italia né dal nostro fertile e ricco Milano, patria d’ogni buona cosa abondevole. Ed essendo noi qui a Porta Vercellina in casa del signor Giovanni, voglio che solamente passiamo a Porta Comense nel suo popoloso borgo, ed entriamo nel giardino de la molto vertuosa e gentile signora Ippolita Sforza e Bentivoglia. Vedete mò che poco viaggio voglio che facciate. Devete dunque sapere che, non sono ancora duo mesi, un giovine di bassa condizione, ma tuttavia nodrito con soldati e stato su l’arme, figliuolo de l’ortolano che aveva in cura il detto giardino e ’l palazzo, circa l’ora del desinare andava a casa. Ed essendo in fantasia per aver fatto parole con non so chi in Milano, teneva la mano su la spada, come fanno il piú de le volte questi tagliacantoni; e non mettendo troppo mente a quello che si dicesse né facesse, bizzarramente braveggiando, disse assai forte: – Al corpo di Cristo, io lo giungerò! sí farò, al corpo di Cristo! Ad ogni modo io ho a metter questa spada, – e questo dicendo, cavava