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non è legittimo, né figliuolo di quel padre che vi credete. Se tutti vi contentate che egli resti erede de la roba di vostro padre, noi non ne diremo mai piú parola. Quando che no, noi siamo sforzati a nominarlovi per nome proprio. Fate mò voi. – I fratelli, sbigottiti a tali parole, si guardavano l’un l’altro in viso. A la fine uno di loro, che era dottore, cosí disse: – Fratelli miei, voi avete inteso il padre nostro ciò che ci dice. Se a me toccherá esser bastardo, ch’io non lo so, prima per via di ragione difenderò i casi miei e vorrò esser cosí buono ne l’ereditá come voi, non volendo ora aver la conscienza cosí sottile. E quando io fossi ben privato de la ereditá, non ho paura che mi manchi da viver onoratamente. E di giá voi potete vedere la riputazione ne la quale io sono, e i guadagni che vengono in casa per mio mezzo. Ma sia come si voglia e tocchi la sorte a chi Dio la manderá. Volendo noi che il padre riveli il nome di quello che nostra madre dice, dui mali effetti ne seguiranno, i quali noi debbiamo a tutto nostro potere schifare e fuggire. Il primo è che noi entraremo sul piatire e vi consumeremo l’avere e la vita, e Dio sa come l’anderá; l’altro non minor fallo è che noi metteremo l’onor de la nostra madre sul tavoliero, e dove fin qui ella è stata tenuta donna da bene, noi saremo cagione che per trista e disonesta femina fia creduta. E certamente debbiamo a questo metterci benissimo mente. La ereditá, che ci ha lasciata nostro padre, è la Dio mercé assai bastante per tutti noi ed anco per dui altri fratelli di piú, quando ci fossero, se vogliamo onoratamente e da nostri pari vivere. Io per me mi contento, per discarico de l’anima di nostra madre, che tutti noi restiamo fratelli come fin a qui siamo stati, e che a patto nessuno il padre non sia astretto a nominar nessuno. V’ho dette il parer ed openion mia: fate mò voi ciò che piú v’aggrada. – Udito il savio e prudente ragionare del dottore, gli altri fratelli, dopo molte cose tra loro tenzionate, si risolsero che egli ottimamente aveva discorso, e che il suo parere si deveva seguire. E tutti poi pregarono i frati che mai di cotesta materia non facessero motto. I frati, veduta la buona resoluzione che i fratelli presa avevano, gli commendarono sommamente, assicurandogli che mai da la bocca loro non uscirebbe parola per la quale si potesse venire in cognizione di questo fatto. Ora, essendo questa cosa, cosí senza nome di nessuno, in Verona narrata in casa del signor Cesare Fregoso mio signore, vi si ritrovò il signor Pietro Fregoso di Nevi, vostro cugino, il quale, sentendo questa novella, disse: – Io n’ho ben una per le mani in qualche parte a questa simile, e dicendola non vi tacerò i nomi, essendo la cosa ai giorni miei accaduta ed assai divolgata. – Pregato che, poi che