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nobile e leggiadro, e mi pare tanto discreto che piú esser non potrebbe. E se io lascio andare questa ventura, quando mi verrá ella un’altra volta a le mani? Certamente io non sarò giá cosí sciocca che io non la prenda, avvengane ciò che si voglia. Ma che cosa mi può avvenire di male? tutte le lasciate, perdute si dicono, e in effetto le sono. Io fermamente mi persuado e tengo per certo che amandolo, come io caramente amerò, che anco egli amerá me e mi terrá cara. E cosí con lui potrò io ristorar il tempo che ho perduto e di continovo perdo con questo vecchio di mio marito, il quale a gran pena una volta il mese si giace meco e talora se ne stará dui e tre mesi che non mi tocca, e quando insieme siamo, il povero uomo è sí mal in gambe per quel mestiero ove io lo vorrei gagliardissimo, che ha sempre paura di morire. E pensava contentarmi con baci insipidi e darmi ad intendere che a questo modo ce ne viveremo piú sani. Io non so perché egli per sua moglie mi prendesse, e quasi che non maledico quel mio zio che fu cagione di farmelo sposare. Ché se la buona memoria di messer mio padre fosse stato in vita, io averei avuto un giovine, come piú volte mi diceva volermi dare. Lassa me! che ora mi trovo ne le mani di questo vecchio, che si crede contentarmi con tenermi onoratamente vestita, darmi anelli, collane e cinte d’oro, e farmi sedere in capo di tavola, dandomi bene da mangiare e meglio da bere. Ma io non so giá che mi vagliano coteste cose, quando la sera me ne vado sola a dormire con una donzella in camera, ed egli se ne va a la sua; e, che peggio poi è, quando egli si dorme meco, si leva sempre d’una e due ore avanti giorno e si va a sepellire tra i suoi libri. Che almeno vi rimanesse egli una volta da dovero! Sí che io mi delibero provedere a’ casi miei e fare come io so che fa una mia amica, che con un gentiluomo di questa terra si dá buon tempo e vita chiara. E nondimeno ella ha il marito giovine, che l’ama ed ogni notte con lei si giace. Né bastando questo, io so bene il luogo ove il dí se ne va a trovar il suo amante, e mostra d’andar a visitar infermi e parenti. E forse che ella sola fa di simile beffe al marito? Io ne so bene piú di tre para, che in vero non hanno la occasione né il bisogno che ho io, che lasciano i mariti e ad altri si dánno in preda. Il fallo mio, se fallo è e che mai si risapesse, sempre sará degno di scusazione. Se io ho marito, egli è tale che, se bene volesse e si mettesse con quante forze ha, non averá mai potere darmi di quei piaceri che communemente noi donne desideriamo e senza cui non è donna che possa lungamente gioiosa vivere. Ché assai meglio sarebbe mangiar