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onori s’inducesse a maritarsi. Che diremo del divino Platone? non ordinò egli ne la sua repubblica che chiunque, passati i trentacinque anni, non era maritato, fosse infame e privato d’ogni onore? Si maritò Socrate filosofo sapientissimo, ed Aristotile maestro di coloro che sanno, e Pittagora e molti altri savissimi uomini ebbero moglie. Appo i romani Furio Camillo e Postumo, essendo censori, a quelli che a la vecchiezza erano senza pigliar moglie pervenuti, o vero che avevano rifiutato le vedove lasciate dai mariti morti su la guerra, statuirono una gravissima pena. Ma che vo io raccontando costoro, se nostro signor Iddio ordinò il matrimonio, che è sacramento de la Chiesa, e, fuor del matrimonio non lece a qualunque, uomo o donna che si sia, procrear figliuoli? Ora, se io volessi tutti i beni che dal matrimonio provengano discorrere, e per lo contrario quanti noiosi fastidii in esso siano raccontare, essendo i beni pur assai e non in picciolo numero i mali, averei troppo che fare; di modo che, avendo ciascuna de le parti le sue ragioni, e tuttavia disputandosi qual sia meglior openione de le dui, mai la controversia non è stata decisa, e la lite ancora sotto il giudice pende e, per mio giudizio, sempre resterá dubia. Il perché veggiamo tutto il giorno uomini e donne maritarsi, ed altresí molti e molte in perpetuo celibato dentro le mure dei sacri monasteri chiudersi. Onde, questionando si una volta pure di cotesta materia in una onorata compagnia, facendo ciascuno buone le sue ragioni, a la fine con assenso di tutti si conchiuse che, se pur l’uomo si vuol maritare, che a buon’ora prenda moglie e non aspetti gli anni de la vecchiezza, e che maggiore sciocchezza non è che maritarsi vecchio. Fu anco unitamente determinato che di tutte le pazzie non è la maggiore che veder uno che sia vecchio o molto attempato e prenda una giovane per moglie, che sua figliuola di gran lunga esser potrebbe, e di questo sí fatto matrimonio esser il piú de le volte seguíto male assai, con danno e vergogna del marito e de la moglie. Era in questi ragionamenti il gentilissimo giovine, delizia de le muse messer Alfonso Toscano, governatore dei signori figliuoli del signor Alfonso Vesconte il cavaliero; il quale, veggendo i ragionamenti esser terminati, narrò una novella molto a proposito di ciò che detto s’era. E parendomi degna d’esser annotata, quella descrissi. Ora, venutami a le mani mentre che io, riveggendo le mie novelle, insieme le metto, a questa ho messo ne la fronte il nome vostro, e ve la mando e dono per testimonio de l’amore che tra noi sin da’ primi anni sempre è stato, pregandovi che non solamente a messer Tomaso