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da Prato non fosse peggior di lui giá mai. Erano in una cosa simili, che cosí come pareva a ser Ciappelletto di scherzar con messer Domenedio, a burlarsi di lui, il medesimo faceva costui del quale intendo ragionarvi in questa novella. Erano poi in questo differenti molto, perché ser Ciappelletto, essendo una sentina di vizii, voleva buono e santo esser tenuto, e questi, sí come vizioso e ribaldo si conosceva, voleva per tale da chi seco conversava esser istimato. E giovami di credere che si sarebbe riputato a grandissima villania ed ingiuria che altri l’avesse per leale ed uomo da bene creduto, tanto era egli ne abisso profondissimo d’ogni vizio immerso. Oramai, per non tenervi piú a bada e venir al fatto, vi dico che io, essendo una volta in Bologna, intesi che, nel tempo che i signori Bentivogli governavano quella magnifica ed opulenta cittá, fu in essa un gentiluomo dei beni de la fortuna assai ricco, il quale era dottore iureconsulto molto dotto, e fuor d’ogni misura si mostrava affezionato a la fazione d’essi signori Bentivogli; ma era di tanta scelerata vita e di cosí enormi vizii pieno, che è incredibile cosa a dirlo: di modo che non solamente in Bologna, ma né anco altrove un tanto scelerato non si saria trovato giá mai. Egli aveva il suo studio pieno di libri in una camera terrena, ove ai suoi clientoli dava udienza, e quivi teneva l’imagine del Crocifisso, che forse dagli avi suoi era stato attaccato. E perché si gabbava di Dio e de’ santi, come colui che poco gli credeva, fece dipingere a qualche ribaldo dipintore le gambe del detto Crocifisso con l’assisa o sia livrea bentivogliesca in gamba, come se Cristo fosse fazioso e parziale. Onde il ribaldone non si vergognava spesso publicamente dire che, se Cristo voleva abitare in Bologna, era necessario che portasse la divisa dei signori Bentivogli. Né solamente era egli scelerato, ma voleva che le sue sceleratezze e sconce operazioni da tutto il mondo si sapessero, e se ne teneva da molto piú. Se intendeva talora alcuno aver lite con poca ragione e che dagli altri dottori, uomini da bene, era essortato a lasciar cotal litigio o di cercar di comporsi col suo avversario, egli piú volentieri simili liti pigliava che le giuste e liquide, e con sue gherminelle e inganni, de’ quali n’era divizioso, menava di modo la lite a la lunga, che ben sovente colui che ragione aveva, dal fastidio del piatire vinto, si componeva. Se poi alcuna volta avveniva che qualche suo parente o amico lo riprendesse e garrisse di cosa che sceleratamente fatta avesse, egli se ne rideva, e scherzando diceva loro che avevano buon tempo e che erano uomini fatti a l’antica e non si sapevano governare,