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in parte l’istorico padovano ed instituito un prencipe, discorrere i suoi Discorsi e meno instituir lui, che non so se viva o sia morto. Ben dirò a proposito di quanto egli ha scritto in quel vigesimo settimo capo del suo primo libro dei Discorsi, che a me non può entrar nel capo né so come sia possibile che uno possa esser onoratamente tristo e far una sceleraggine, che da da’ buoni sia reputata onorevole. Meno anco so come Gian Paolo Baglione, che il Macchiavelli noma nel precetto capo facinoroso, incesto e publico parricida, devesse esser da uomini di sano giudicio stimato leale, fedele e buono in opprimendo un suo signore del quale era vassallo, e non solamente che gli era signore, ma che era de la santa romana Chiesa capo e sommo pontefice e in terra vicario del nostro Redentore messer Giesu Cristo. Medesimamente, che si poteva di lui dire, se opprimeva e dirubava tanti cardinali, tanti vescovi ed altri prelati ecclesiastici, coi quali nulla aveva che fare? Sarebbe egli stato onoratamente tristo? Invero io mi crederei che non si possa mai dire che la tristizia sia lodevole e che uno, sia chi si voglia, mentre che è tristo e sgherro ed usa le ribalderie, non si possa dire se non tristo e scelerato, e che egli non meriti se non agre riprensioni, severi gastigamenti e continovo biasimo. Questi tali devriano tutti esser senza rispetto veruno mostrati vituperosamente ad ogni gente col dito di mezzo per piú loro scorno. Dico col dito di mezzo, ché era manifestissimo segno appo gli antichi, quando volevano mostrar uno scelerato e facinoroso uomo, che, complicando ne la mano tutti gli altri diti, quello di mezzo distendevano, a ciò che ciascuno si guardasse di praticare con quelli che in tal modo erano notati. Insomma io vi conchiudo che non si può esser onoratamente ribaldo. Ben si potrá dire: – Il tale è un eccellente ladro, un perfetto adulatore, un gran ribaldo ed un finissimo ghiotto; – ma non giá mai che il nome d’onore se gli possa propriamente aggiungere. Ma io mi sono lasciato trasportare, non so come, contra la consuetudine e natura mia, a riprendere il Macchiavelli; tuttavia, parendomi aver detto la veritá, sia con Dio. Ora, lasciando la cura ad altri di meglior ingegno e di piú invenzione ed eloquenza che io non sono, che né de l’una né de l’altra faccio professione, di discorrere i Discorsi macchiavelleschi, vi dirò ciò che da principio mi mosse a parlarvi, e vi narrerò una breve novella d’alcuni detti d’un uomo sceleratissimo, il quale, per mio giudicio, mai non si potrebbe chiamar onoratamente scelerato, ma sí bene re d’ogni sceleraggine e ribaldissimo in carmesino di grana ne l’ultimo grado. Credo poi che ser Ciappelletto