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la figliuola, che Maria aveva nome. Si fece il contratto ed il matrimonio si conchiuse, e il conte mandò un solenne dottore con carta di procura, il quale a nome del conte sposò la signora Maria ed ebbe la promessa dote in tanti bei ducati. E cosí messer lo dottore, dato del tutto avviso al conte e dal conte mandata onesta compagnia di cavalieri a pigliar la sposa, quella onoratamente condusse a Barcellona, ove s’era preparato di far tal nozze, quali a la grandezza degli sposi si conveniva. Era il convito apparecchiato nel palazzo de la communitá di Barcellona in una sala molto grande, essendo cosí la costuma del paese, che tutti i signori e grandi personaggi de la contrada, quando conducevano moglie, che il primo convito de le nozze facessero in quella sala e quivi di propria mano la moglie risposassero. Aveva il conte di Prata supplicato il re che degnasse con la presenza sua onorar le nozze; il che il re non solamente aveva detto di fare, ma anco s’era offerto d’andar fuor di Barcellona ad incontrar la sposa, e quella, a la spagnuola, condurre di compagnia al palazzo. E desiderando onorar il suo vassallo, cosí come promesso l’aveva, l’attese; perché, quando tempo gli parve, montato a cavallo con tutta la corte, andò fuor di Barcellona, prima che la sposa trovasse, piú di tre miglia. Ora, incontrata che l’ebbe, fatte le convenienti cerimonie, se la pose, ancor che ella gli facesse grandissima resistenza, a la destra, e prese le redine de la chinea su la quale era la sposa, e quella verso Barcellona cominciò a menare. E parlando seco e la beltá di lei minutamente considerando, sí fieramente di quella s’innamorò, che in un subito s’accorse del suo fervente amore, e conobbe le fiamme di quello esser penetrate cosí a dentro, che impossibile era di poterle in parte alcuna ammorzare. Non ebbe perciò mai ardire di farle pur un motto circa a questo, tuttavia pensando che mezzo tener devesse per divenir di quella possessore. E mille pensieri ne l’animo suo ravvolgendo, ed ora ad uno ed ora a l’altro appigliandosi, né sapendo dove fermar il piede, a la cittá d’un’ora innanzi la cena arrivarono. Quivi essendo giunti, si cominciò a ballare a la catalana e star su le feste, fin che l’ora de la cena venisse. Il re fece il primo ballo con la sposa, tuttavia pensando ai suoi fieri disii, e tanto piacer sentiva con quella ballando, che averebbe voluto che quel ballo fosse tutto quel dí durato. Fatto il primo ballo, il re si pose solo in un canto a sedere, e quivi, senza parlare con nessuno, diceva tra sé: – Non sono io re di Ragona e padrone libero di tutto questo reame? chi adunque mi divieta che io di questa bella giovane non prenda tutto quel