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Tomasone ogni dí a la predicazione, ed avendo fra Bernardino gagliardamente predicato contra gli usurai, un povero calzolaio, che era ito per pigliar danari in prestito da lui, finito che fosse il sermone, sentendo cosí acerbamente gridar il frate contra l’usura, si smarrí. E tornando Tomasone a casa, non ardiva ricercarlo, ma dietro passo passo lo seguitava. Veggendolo, Tomasone gli disse: – Compagno, vuoi nulla da me? – Io vorrei bene qualche cosa, – rispose il calzolaio, – ma non ardisco a chiedervi, avendo sentito il frate sí fieramente garrire contra gli usurai; e dubito che voi non siate convertito e piú non vogliate prestare. – Disse alora Tomasone: – Dimmi, che mestiero è il tuo? – Io sono calzolaio, – rispose egli. – Sta bene, – disse Tomasone. – Tu sei stato al sermone e vai a bottega: che mestiero sará ora il tuo? – Sarò calzolaio, – rispose il povero uomo, – perché non so far altro mestiero. – Ed io, – soggiunse Tomasone, – sarò prestatore, perché altro essercizio non ho per le mani. – E gli diede quei danari che volle. Questo è quel Tomasone che poi si convertí e restituí tutto il mal tolto, certo ed incerto, e lasciò tante elemosine e cose pie, che tutto ’l dí in Milano si fanno; il quale, se visse male, almeno, per quello che si può giudicare, morí bene e da cristiano.
Non è molto che, essendo una bella compagnia di gentildonne in Milano, presso a Porta Beatrice, nel bellissimo giardino di messer Girolamo Archinto e fratelli, essendovi ancora un drappello di cortesi e gentilissimi giovini, poi che messer Girolamo, essendo i dí canicolari, ebbe con soavissimi frutti ed un generoso e preziosissimo vino bianco alquanto rinfrescati gli uomini e le donne, sovravenne il conte Francesco da Persico, cremonese, giovine per nobiltá, costumi e buone lettere di singolare stima e d’una piacevol pratica. Il quale, veggendo che la collezione era sul fine, disse: – Ed io, signore mie, era venuto per bere. – E dato di mano ad una caraffa di vetro, piena d’acqua purissima e fredda, quella saporitamente cominciò a bere, non essendo mai stato avvezzo a ber vino. Poi che con l’acqua s’ebbe cavata la sete, disse sorridendo: – Ora potrò io sí bene cicalare