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gentil signora

la signora Ippolita Sanseverina e Vimercata salute


Io questa state passata, per fuggir i caldi che talora sono eccessivi in Milano, me n’andai in villa col signor Alessandro Bentivoglio e con la signora Ippolita Sforza sua consorte, al luogo loro di lá da l’Adda che si chiama «il Palagio», e quivi dimorai circa tre mesi, nei quali ci capitarono di molti signori e gentiluomini ed onorate gentildonne, ai quali, come sapete esser il costume d’essi signori, si faceva gratissima accoglienza, e stavano sempre in onesti e dilettevoli giuochi. Avvenne che un dí ci capitò con una squadra di belle giovani la signora Barbara di Gonzaga contessa da Gaiazzo, tra le quali ci erano la signora Lodovica e la signora Giulia vostre sorelle e la gentilissima signora Maddalena Sanseverina vostra nipote. Quivi nel montare del sole solevano ridursi sotto un grandissimo frascato, tanto maestrevolmente fatto, che i solari raggi in nessun lato passavano e quasi di continovo vi spirava una fresca e dolce òra. Si novellava in una parte, si ragionava di varie cose in un’altra, e si giocava ancora, secondo che a ciascuno piú dilettava un essercizio che l’altro. Alora, essendo sovragiunta cosí nobile e bella compagnia, dopo che si fu desinato, sapendo tutti, come la signora contessa è bella parlatrice e sempre piena di nuovi casi che a la giornata accadono, ci fu chi la pregò che degnasse qualche novella dirne. E perché s’era inteso che in Crema una giovane da marito, essendo gravida ed avendo partorito, aveva la creatura suffocata e tratta in un chiassetto, perché non si sapesse il suo fallo, la contessa, che sentí che di questo caso si mormorava, ci promise di tal materia novellare. Onde senza indugio narrò una crudeltá da una madre verso il figliuolo usata, che tutti ci riempí di stupore e meraviglia ed insiememente di compassione, giurando che detta madre ella conosceva. Io, pregato di scriverla, poco me ne curai, non volendo che fra le mie novelle fosse veduta. Ora, astretto da voi che desiderate sapere come il caso fu, non ve l’ho potuto negare, pensando anco che non istá male, tra le cose varie, che simili accidenti ci siano. A voi dunque la detta istoria mando, ché, avendomela voi con tanta instanzia richiesta, convenevole m’è