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uomo nel mercadantare e che sapete la costuma del luogo, penso che a l’entrata del castello averete deposte l’arme. Ma volendo entrar in sala ove i ragazzi del re giocano, vi converrá fare ciò che l’ordine d’esso re ricerca e comanda, a ciò che qualche volta male non ve n’avvenisse. – Il mercadante fiorentino, che Gian Battista aveva nome, ancora che conoscesse Roderico e sapesse che sempre aveva qualche piacevolezza a le mani, gli domandò che comandamento era quello del re. Roderico alora con fermo viso gli disse: – Il re comanda che ciascuno, cosí come ha lasciato l’arme a la porta del castello, anco qui, quando i paggi ci sono, si lasci a l’uscio l’appetito di mangiar carne di capretto. – Restò tutto sbigottito il mercadante, sentendosi tanto mordacemente improverare e sul viso rinfacciare con oneste parole il suo disonestissimo vizio. Ed in vero Roderico non poteva piú modestamente rimproverargli il suo peccato, e tanto piú quanto che colui era per corte mostro a dito come molto vago d’imparar da l’api a far de la cera. – Un altro ancora di lui mordace motto dirovvi e poi farò fine. Era un cortegiano, il quale si sarebbe stimata gran vergogna se detto si fosse che egli donna alcuna avesse amata. Del contrario poi era piú vago che l’orso del mèle. Questi, essendo di state, da mezzo dí, spogliato, si corcò suso un tettuccio per dormire, e dormendo si dimenò di modo che dinanzi restò scoperto e mostrava esser ben fornito di masserizia di casa. Fu visto da alcuni cortegiani, e mentre ridendo lo rimiravano, sovravenne Roderico; e dicendo uno di quelli che colui che dormiva aveva partito con l’asino e stato il primo a levare, disse Roderico: – Voi sète errato; e non vi meravigliate se quel citriolino è cresciuto cosí grande, perché di continovo è cresciuto ne lo sterco. – Risero tutti de la faceta similitudine da Roderico data, il quale era da tutti i buoni cortegiani amato, e sapeva con molta gentilezza morder i vizii de’ cortegiani.