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degna d’un vero liberale che de le cortesie, che altrui fa, memoria mai non tiene, sculpendo in marmo quelle che riceve per pagarle ogni volta che l’occasione se gli offerisce. Attendendo adunque in Londra a negoziar i fatti suoi e caminando un giorno in una contrada, avvenne che il contestabile passava anch’egli per la strada medesima, venendo a l’incontro del Frescobaldo. Così subito che il contestabile lo vide e gli ebbe gli occhi fermati nel viso, si ricordò costui certamente esser quello dal quale così gran cortesia aveva in Firenze ricevuta, ed essendo a cavallo dismontò, e con meraviglia grandissima di quelli che seco erano, – chè v’erano più di cento a cavallo dei primi del regno che gli facevano coda, – l’abbracciò con grande amorevolezza e quasi lagrimando gli disse: – Non sète voi Francesco Frescobaldo fiorentino? – Sì sono, signor mio, – rispose egli, – e vostro umil servidore. – Mio servidore, – disse il contestabile, – non sète già voi nè per tal vi voglio, ma bene per mio grande amico, avvisandovi che di voi ho giusta ragione di molto dolermi, perchè sapendo voi ciò che io sono e dove era, devevate farmi sapere la venuta vostra qui, chè certamente io averei pagato qualche parte del debito che confesso aver con voi. Ora lodato Iddio che ancor sono a tempo. Voi siate il benissimo venuto. Io vado ora per affari del mio re e non posso far più lunga dimora vosco, e m’averete per iscusato. Ma fate per ogni modo che in questa matina vegnate a desinar meco, e non fate fallo. – Così rimontò il contestabile a cavallo e se n’andò in sorte al re. Il Frescobaldo, partito che fu il contestabile, s’andò ricordando che cotestui era quel giovine inglese che egli già in Firenze in casa sua raccolse, a cominciò a sperar bene, pensando che il mezzo di così grand’uomo molto gli giovarebbe a ricuperar i suoi danari. Essendo poi l’ora di desinare, se n’andò al palazzo del contestabile, a quivi nel cortile poco attese che egli rivenne. Il quale, smontato che fu, di nuovo amicabilmente riabbracciò il Frescobaldo e, vòlto a l’armiraglio e ad altri prencipi e signori che con lui erano venuti a desinare, disse: – Signori, non vi meravigliate de le amorevoli dimostrazioni che io faccio a questo gentiluomo fiorentino, perchè queste sono parte di pagamento d’infiniti oblighi che io conosco e confesso di avergli, essendo nel grado che sono per mezzo suo. E udite come. – Alora a la presenza di tutti, tenendo sempre per mano il gentiluomo fiorentino, narrò loro in che modo era capitato a Firenze e le carezze che da lui aveva ricevute. E così tenendolo sempre per mano, se ne salirono le scale, e giunti in sala