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al falso sacerdote indubitata fede prestò. Ella il tutto al marito disse. Saturnino, che de la onestà de la moglie punto non dubitava e che anco egli era immerso in cotal superstizione che i dèi ingravidassero le donne, stimando questa cosa esser lodevole ed onorata, e che mai creduto non averebbe che sotto specie di religione tanta sceleratezza si fosse nascosa, fu contento che la moglie il dì ordinato andasse a giacersi col dio Anubi. Venuta la notte a le divine nozze statuita, essendo di già Mondo per opera del sacerdote nel tempio ascoso, andò Paolina e da le sue damigelle fu messa in un letto che in un canto del tempio era preparato. Le lampade, che ardevano, tutte furono ammorzate; ed il sacerdote, uscito con le donzelle di Paolina fuori, serrò le porte del tempio e con la chiave le fermò. Mondo, uscito del luogo ove era ascoso, a canto a Paolina si corcò. Ed avendo tanto bramata quella notte, per mostrarsi cavaliero divino e non umano, fece prove grandissime de la persona; di modo che Paolina affermò il dio Anubi aver seco fatta altra giacitura che non faceva il suo marito. E così tutta la notte amorosamente Mondo con Paolina si trastullò e di lei fece ogni sua voglia, come più le aggradì. Poco poi dinanzi l’alba, Mondo, uscito di letto, nel solito luogo si nascose; e nel levar del sole vennero le donne di Paolina, ed aperto il tempio dal sacerdote, accompagnarono quella a casa. Ella disse al marito come tutta la notte era stata in braccio al dio Anubi. Mondo, a cui non pareva il suo piacer esser compìto se Paolina l’inganno non sapeva, mosso da giovanile leggerezza, indi a pochi dì incontrandola, le disse: – Paolina, voi non mi voleste del vostro amore a modo nessuno compiacere, e il dio Anubi m’ha fatto grazia che in vece sua io mi sono vosco tutta una notte preso amorosamente piacere. – E datole alcuni contrassegni, le narrò la cosa come era seguìta. Di così vituperoso accidente fuor di modo Paolina turbata, con amarissime lagrime il tradimento al marito fece manifesto. Egli, tanto di mala voglia quanto mai fosse, andò a Tiberio imperadore, e di Mondo e dei sacerdoti dimandò giustizia. L’imperadore, udita tanta scelleratezza e con tormenti cavata la verità e trovato che di simili adulterii molti se n’erano nel tempio per opera dei sacerdoti fatti, essi sacerdoti tutti e la donna serva di Mondo fece porre in croce e miseramente morire. Il tempio, sentina di vizii, fu sino ai fondamenti rovinato a terra e la statua di Iside gittata a bere nel Tevere. A Mondo s’ebbe più compassione: fu nondimeno a perpetuo esilio condannato. E ritornando al nostro principio del parlare, se ai tempi nostri fossero le