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ed insiememente la crudeltà che al suo amante aveva usata, e si tenne per morta; perciò che, passato il termine prefisso, le fu detto che pagasse i dieci mila franchi o che si confessasse, perchè il capo il dì seguente le saria tagliato. Fu dunque levata da la stanza di monsignor Filiberto e condutta a le prigioni. La sua dote non era tanta che potesse pagar la pena, onde si dispose al morire. Il che intendendo monsignor Filiberto e parendogli averla assai straziata ed essersi di lei a bastanza vendicato, andò a trovare il re; e fattagli la debita riverenza, con meravigliosa festa del re e di tutti cominciò a favellare, e a quello narrò tutta la storia di questo suo sì lungo silenzio. Poi supplicò umilissimamente al re che a tutti quelli che erano in prigione fosse perdonato e medesimamente a la donna; il che fu dal re fatto essequire. Onde cavata la donna di prigione e a la volta di Piemonte volendo con grandissima vergogna ritornare, monsignor Filiberto volle che al suo albergo ella e la sua compagnia alloggiassero. Chiamata poi a parte la donna, egli così le disse: – Madonna, voi sapete come in Moncalieri io molti mesi vi feci il servidore, chè in vero io ardentissimamente v’amava. Sapete poi che per un bacio mi comandaste che io stessi tre anni mutolo. E vi giuro, se voi alora o dapoi che andai a Virle m’aveste assolto dal giuramento, che io vi sarei restato eternamente servidore. Ma la crudeltà vostra m’ha fatto andare ramingo circa tre anni, nel qual tempo, Dio grazia e non la vostra mercè, mi è sì bene avvenuto che io ci sono diventato ricco e mi trovo in buona grazia del mio re. E parendomi aver di voi giusta vendetta presa, voglio esservi di tanto cortese, che, possendovi lasciar troncare il capo, vi pagherò largamente le spese del viaggio che fatto avete ed anco per il ritorno. Imparate mò a governarvi con prudenza e non istraziar i gentiluomini, perciò che, come proverbialmente si dice, «gli uomini s’incontrano e non i monti». – Fecele dunque dar danari a sufficienza e la licenziò. Volle il re che pigliasse moglie e gli diede una ricca giovane che ereditava alcune castella. Mandò poi a chiamar l’amico suo spoletino e lo ritenne seco, dandogli il modo di vivere agiatamente. E così con buona grazia del re sempre se ne visse, e dopo la morte del re Carlo settimo restò anco in favore appo il re Ludovico undecimo.