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loro, non passò molto che l’uno e l’altro presero insieme amorosamente piacere. Il che punto non estinse le fiamme amorose dei disiosi amanti, ma più l’accrebbe, di modo che averebero voluto poter esser insieme la notte, e questo non poteva essere se non quando il barone andava altrove, il che assai sovente faceva. Ma la moltitudine de le genti che in casa albergavano era di grande impedimento. Aveva la dama una sua fidata cameriera che già aveva fatta consapevole dei suoi amori, e d’altra persona del mondo non si voleva fidare, e la detta cameriera, quando il barone non ci era, dormiva con lei. Stando la bisogna di questo modo, Giovan Cornelio, avendo varii modi pensati per potersi trovar con la sua donna e non gli parendo che nessuno gli devesse riuscire, pensò che ogni volta che avesse trovato il modo d’entrar la notte in casa, che il resto di leggero gli sarebbe successo, perciò che vi sarebbe ito da quell’ore che la famiglia era a letto, e dei cani non gli accadeva temere, essendo da quelli ben conosciuto, chè a la caccia se gli aveva fatti domestichi. Disse questo suo pensiero a la donna, che non le spiacque, e di più le comunicò come voleva farsi far le vestimenta del medesimo colore ed abito che erano quelle del pazzo, a ciò che avesse più libertà d’andar la notte a torno. Ebbe poi per sorte il modo di far improntar una chiave di certo uscio, che pur dava adito in casa ma non era molto frequentato; onde fece fabricar una simil chiave che gli riuscì molto bene. Fece anco farsi in un altro castello le vestimenta simili a quelle del pazzo, il quale era quasi pari di grandezza e d’ogni altra abitudine corporale a Gian Cornelio. Ora andando esso Gian Cornelio la notte a torno, s’incontrava bene spesso nel pazzo e bisognava, come s’incontravano venir a la mischia e menar le mani. Il pazzo era gagliardo, ma senza arte combatteva e dava mazzate da orbo. Gian Cornelio era prode molto de la persona, di forte nerbo e ne l’arme longamente essercitato: e’ giocava di piatto per non ferir il pazzo, attendendo per lo più a schermirsi e riparar i colpi del pazzarone; pur talvolta gli dava qualche ferita, perchè le bòtte non si ponno così dar a misura. Domandato poi il pazzo con chi aveva combattuto, rispondeva che seco stesso, parendogli che fosse colui per la simiglianza de le vesti: diceva di gran pappolate, ridendo senza fine, quando contava che aveva fatto fuggir la sua ombra. Venne più volte a Gian Cornelio fatto, vestito da pazzo, di trovarsi con la sua donna ed alcune volte no. Ora avvenne che stando egli su queste pratiche, uno di casa, avendo' 'l’astore in pugno, disse a la presenza del pazzo: – Per la mia fede,