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morte. Onde saggiamente cantò il nostro mantovano Omero, quando nel terzo de la divina sua Eneide disse:


A che non sforzi i petti dei mortali,

essecrabile o fame d’aver oro?


Di questo ragionandosi a Pinaruolo in una buona compagnia per una questione seguìta tra dui giocatori soldati, il capitano Ghisi da Vinezia, uomo prode de la persona, dopo molte cose dette secondo il vario parere di chi ragionava, narrò un fiero accidente poco avanti a Vinezia avvenuto, il quale tutti riempì di meraviglia e stupore. Io alora, che presente ci era, lo scrissi, parendomi poter esser detto caso giovevole a molti per levargli dal giuoco. Ora che io faccio la scelta de le mie novelle per darle fuori, venutami questa a le mani, subito deliberai che sotto il vostro nome si leggesse, sì per l’antica domestichezza che ebbi già in Milano con la buona memoria di monsignor Gian Stefano Gloriero, vostro onorato padre, ed altresì per farvi certo che sempre di voi sono stato ricordevole, dopo che un dì nel convento de le Grazie di Milano, in compagnia del dotto messer Stefano Negro, di messer Valtero Corbetta, uomo ne l’una e l’altra lingua erudito, (e se male non mi sovviene, credo ci fosse anco messer Antonio Tilesio), dei Commentari de le lezioni antiche di messer Celio Rodigino a lungo ragionammo. De la memoria che di voi tengo ve ne potrà far fede messer Giulio Calestano, non mai stracco predicatore de le vostre singolari doti, col quale tante volte ho di voi e de l’umanissima e cortesissima vostra natura e dei castigatissimi vostri costumi ragionato, raccontando quanto prudentemente e con inaudita costanza abbiate sofferto i fieri ed impetuosi soffiamenti de la contraria fortuna, la quale tanto vi s’è mostrata per lungo tempo nemica. Nè solo eroicamente i suoi sbattimenti ed avversi colpi sofferto avete, il che a molti avviene, ma sì saggiamente vi sète saputo schermire con lo scudo de l’innocenzia contra i suoi velenosi dardi, che a la fine ogni suo impeto ed ogni sua rabbiosa furia ammorzato avete. Degnatevi dunque questo mio picciolissimo dono accettare con quella serena fronte che gli amici vostri veder solete. E che altro vi posso io dare, se non vi dono qualche mio incolto scritto? Feliciti nostro signor Iddio ogni vostro disio. State sano.