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a tutti dui; ed ogni volta che commodità v’era, e sentiva crescersi roba a dosso, con l’unto de la padrona ammorbidava il fatto suo. Ed avendo Arrigo l’animo più a questo unto che a quello degli stivali, volendo andar il padrone a far volare, avvenne che un giorno trovò gli stivali non esser nè netti nè unti, di che fieramente entrò in còlera. Il buon Arrigo non sapeva che dire. Ed il padrone a lui: – Come vuoi tu, – disse, – che io faccia, tedesco' 'ubriaco che tu sei? come farò mò io, brutto poltrone? Questi stivali sono tanto duri e secchi che nè tu nè altri me gli potrà calzare già mai. Che ti vengano mille cacasangui, asino da basto! – Temendo Arrigo non avere de le busse: – Non vi turbate, – disse, – non vi turbate, messere, chè io in un tratto gli farò venir molli. – Tu farai il gavocciolo che ti venga, sozzo cane, unto, bisunto! – rispose il padrone. Arrigo alora, che lo vedevadi