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che egli avesse rispetto a la donna che aveva menata seco e a quella di casa. Ma egli, oltra i baci, adoperando le mani per venir al godimento de l’amore de la donna, le diceva che sapeva molto bene che si poteva fidar di loro, e che non voleva perder la tanto desiderata e attesa occasione; e riversatala sovra un lettuccio, due volte seco giostrò. Fatto questo, la donna gli narrò la pessima vita che col marito aveva, e come la roba con le puttane dissipava, e che più volte l’aveva date tante busse che con assai meno un somaro sarebbe ito da Bologna a Roma. E fieramente in braccio a Lione piangendo, il pregò che la volesse aiutare e levarle dinanzi dagli occhi il tristo del marito. Lione, confortata la donna con buone parole, largamente le promise che pigliarebbe l’opportunità e che l’ammazzerebbe. E con questo entrarono a far la terza volta la danza trivigiana. Dopo Lione pregò la donna che, avendo questa comodità de la casa di quella buona donna, talora ivi si volesse ritrovare, ove darebbero, oltra il piacere che prenderia ciascuno di loro, ordine ai casi loro, perciò che ella lo potrebbe talora avvertire ciò che il marito facesse e dove andasse. La donna disse di farlo, e così Lione, ben sodisfatto de la donna, si partì, ma non già che avesse animo di voler ammazzare il marito di lei: ben desiderava, mentre che in Bologna gli conveniva dimorare, intertener la pratica de la donna e goderla, parendogli persona gentile, netta e molto «buona roba», come si dice, e che macinava gagliardamente. E così qualche tempo ne la pratica si mantenne. Due e tre volte assalì Angelo, più per farlo fuggire che con animo di fargli male. Il che sapendo la donna, si teneva pur in openione che l’amante devesse ammazzarle il marito, e sovente si ritrovava con Lione a la casa de la buona messaggera, ove facevano buon tempo. Veggendo poi che l’effetto de la morte del marito non seguiva, e desiderando ella per ogni modo di farlo morire, andò tanto investigando che s’avvenne in uno scolare forlivese che era gran distillatore d’acque avvelenate, dal quale col prezzo del proprio corpo n’ottenne tanta, che in una cena avvelenò suo marito nel bere, il quale in un giorno, essendo subito fuor di sè uscito, morì miserabilmente, senza che se gli potesse porgere in modo alcuno aita. La donna si mostrò fuor di misura dolente di questa morte, ed essendo il corpo del marito stranamente gonfiato, fu fatto giudicio da’ medici che egli fosse stato attossicato. La giustizia avendo fatto veder il corpo, e non v’essendo accusatore alcuno, e la moglie lamentandosi che le puttane gliel’avevano avvelenato, credette che così fosse, e fece essaminare la detta