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che venisse a tavola, tanto forte che ne averia potuto bere uno ch’avesse mille ferite in capo; che altra carne non si vedeva che di bue, la quale prima che si finisse aveva fatto tre o quattro brodi; che ci era un gambetto che più di venti volte era stato in tavola nè mai fu da persona tócco, perchè era un osso ignudo senza carne, e che come la tavola era messa, da se stesso saltava in tavola. Diceva che ’l formaggio era tutto roso da le tarme e guasto, e che le frutte si compravano mal mature e venivano in tavola cinque e sei volte. Queste cose diceva egli senza rispetto veruno, nè si curava che da tutti fosse udito. Avvenne un dì che tra lui ed Isabella furono di male parole e vennero sui criminali, di modo che Rocco gli disse che se non fosse stato il rispetto di messer Roberto, le averia detto cose che l’averebbero fatta arrossire. – E che mi' 'puoi tu dire, – soggiunse Isabella, – se non ch’io sono una puttana? Questo già si sa, nè io per questo arrossirò. – Riscaldato Rocco da la còlera, s’offerse di pagar una cena lauta e magnifica, e che oltra l’altre vivande ci fossero duo para di fagiani, ed ella si contentasse che a la presenza sua dicesse tutte quante le poltronerie che di lei sapeva; al che s’accordarono per il giovedì seguente. In quel tempo, ancora che Rocco sapesse assai ribalderie di lei, nondimeno da molti che la conoscevano intese cose assai più che non sapeva e, a ciò che di memoria non gli uscissero, ne scrisse un lungo memoriale di tre fogli di carta. Egli era bello scrittore e tutte le cose aveva con bellissimo ordine scritte. Or giunta la sera che la cena era messa ad ordine, messer Antonio Romeo, che aveva inteso la cosa e si trovava mezzo ammalato, si condusse a casa dei signori mantovani, per prender alquanto di ricreazione de la disputa che si deveva fare. Erano tutti con Isabella in una sala a torno al fuoco. Cacciò mano Rocco al suo libretto e ad Isabella dise: – Puttana sfacciataccia, questa è la volta che non solamente io ti farò arrossire, ma ti farò crepare. – Ella se ne stava alquanto malinconica e diceva: – È egli possibile, Rocco, che tu mi voglia morta? Ceniamo in pace, e dopo cena tu leggerai il tuo processo criminale. – No, no, – rispondeva Rocco, – io ti vo’ far parer la cena più amara che fele. – E veggendo Isabella che egli era pur disposto di legger prima che si cenasse, pregò molto quei gentiluomini che le facessero far grazia che ella fosse quella che leggesse almeno la prima carta di ciò che Rocco aveva scritto, promettendo non partirsi nè straziare o abbrusciare la scrittura, ma letta la prima carta, renderla ad esso Rocco. Parve la domanda non incivile, onde tutti astrinsero