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anco ci mangiava un Rocco Biancalana, il quale aveva nome d’agente d’un illustrissimo e reverendissimo cardinale, il quale, per esser stato lungo tempo in Roma ed esser piacevole e non meno mordace d’Isabella, ogni dì era a romore di parole con lei. D’essa Isabella, la quale anco spesso si trovava con i suddetti signori, era messer Roberto un poco, come si dice, guasto, e volentieri la vedeva. Ma tra Rocco e lei era una perpetua gara, e contendevano tra loro chi fosse tra lor dui più maledico, più calcagno e più presuntuoso, di maniera che sempre erano a le mani. Del che quei signori, veggendo la prontezza del dire di tutti dui e le scommunicate ingiurie che si dicevano, ne pigliavano meraviglioso piacere, e spesso, per più accendergli a dirsi villania, gli aizzavano come si fanno i cani. E insomma tra la Luna a la Lana era crudel nemistà, non potendo Rocco sopportare che una sì publica e sfacciata meretrice, che aveva avute più ferite ne la vita che non sono fiori a primavera, praticasse con quei gentilissimi spiriti, ed assai sovente ne garrì messer Roberto. Ora l’illustrissimo e reverendissimo cardinale che in Roma teneva Rocco, avendo forse da trattar negozii di grandissimo momento, mandò a Roma messer Antonio Romeo, uomo di grandissimo maneggio, e atto a trattar ogni difficil ed intricato affare, quantunque intralacciato fosse. Ed in effetto era il Romeo un compìto uomo, se non avesse avuto una taccherella che tutto lo guastava, perchè era fuor di misura misero ed avaro. Come egli fu venuto a Roma, Rocco mancò alquanto del suo grado, perciò che stava sotto al Romeo, e tanto e non più negoziava quanto gli era da Romeo imposto, di modo che pareva negoziatore del Romeo, non del cardinale, e in casa con lui viveva non come compagno ma quasi come servidore. Ma non era cosa che a Rocco più premesse che la miseria del Romeo, di maniera che ogni picciolo avantaggio che trovato avesse, averia piantato, come si suol dire, il suo cardinale e si sarebbe accordato con altri, ancor che fossero stati privati e senza grado veruno, perciò che esso Rocco teneva forte del parasito e averebbe sempre voluto la tavola piena. In questa sua mala contentezza, egli spesso si ritrovava a desinare e a cena con i suddetti signori, e quivi, dicendo male de la estrema avarizia di messer Antonio, si disfogava; ed ancora che ci fosse Isabella, non se ne curava. Cominciava egli a dire che il pane si comprava tanto duro che non si poteva con i denti masticare nè tagliar con coltello, e che aveva la muffa e che ben ispesso lo faceva biscottare, allegando che asciugava il catarro; che inacquava il vino, prima