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che d’effigie e lineamenti del corpo s’assimiglino, così anco rare volte dui saranno in tutto d’un volere, di modo che se in una cosa converranno, in molte altre poi saranno di varii pareri. Colui in ogni azione od opera che sia per fare, quantunque ella sia facile e consueta facilmente a mettersi in essecuzione, sempre vi ritrova difficultà, e sì con suoi argomenti innanzi agli occhi lo la dipignerà, che ciò che è possibile ti farà parer impossibile e ti porrà in disperazione che il tuo desiderio debbia aver effetto. Quell’altro poi ha l’animo così fatto che niente si pensa esser impossibile, e quanto più l’effetto che se gli ricerca è difficile a condursi a desiderato fine, tanto più egli lo reputa facile, e d’argomento che in contrario tu gli faccia, punto non si sbigottisce, a bene spesso aiutato da la vivacità ed acutezza d’un elevato ingegno, ciò che era da tutti stimato che riuscir non dovesse già mai, egli fa con non troppa difficultà venir ad effetto. Questi tali comunemente son molto grati a’ gran maestri che sempre ricercano di far ciò che quasi far non si può, e più grati anco al volgo che veggendo per mezzo loro condursi a fine un’opera creduta quasi impossibile di farsi, gli credono uomini più che naturali; che se conoscessero la sottigliezza de l’ingegno de l’uomo, cessarebbe in loro l’ammirazione. Si ragionava di questa materia da alcuni gentiluomini di casa de la signora mia padrona, la signora Gostanza Rangona e Fregosa, avendoci prestato il soggetto Pittigliano sescalco, il quale di cosa che se gli domandi mai non dice di no, ben che rade volte segua l’effetto a le sue parole. Comandagli pur ciò che tu vuoi, egli sempre ti risponderà che sarà fatto, o sia possibile o impossibile quello che se gli ricerca. Onde in questi ragionamenti messer Stefano Coniolio canonaco agennense narrò una bella novelletta, la quale essendomi piacciuta scrissi e volli che sotto il vostro nome fosse dal publico veduta. Ella adunque sarà testimonio eternamente de la mia verso voi osservanza. State sano.
L’anno passato essendo io in Amboisa a la corte per gli affari di questo vescovado, sentii da un gentiluomo alvergnasco, che era molto vecchio e diceva esser stato paggio del re Lodovico undecimo,