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in quegli effetti, che non semplicemente nè il più de le volte sogliono avvenire. Ci è ben poi differenza tra il caso e la fortuna, perciò che il caso a più effetti assai distende le sue ali che non fa la fortuna. Onde ragionevolmente si può dire che tutto quello che da la fortuna proviene, altresì dal caso provenga; ma non già diremo che la fortuna in cose pur assai che a caso provengono abbia parte alcuna. Ma perchè di questi casuali avvenimenti e fortunevoli ed altri simili effetti, nei ragionamenti che si fecero a Milano in nove giornate a la presenza de la sempre onorata ed acerba memoria de la illustrissima eroina la signora Ippolita Sforza e Bentivoglia, assai a lungo ne scrissi, per ora mi rimarrò di farne più lungo parlare. Ragionandosi adunque, come v’ho detto, di cotali avvenimenti, e andando il tenzionare più in lungo che ad alcuni non parve che si convenisse, il nostro piacevole messer Filippo Baldo si pose in mezzo, e con quella sua effabilità pose a ciò che si tenzionava silenzio, e ci narrò una festevol novella ne la vostra e sua patria Milano avvenuta. Ed avendola io scritta, a voi la mando e ve la dono, a ciò resti appo voi per testimonio de la nostra scambievole benevoglienza.
Voi sète, signori miei, entrati in un cupo e ondoso mare a ragionar de la materia che ragionavate, appartenente in tutto ai filosofi e ai teologi, per quello che altre volte io n’ho sentito disputare. Noi siamo su l’ultimo del carnevale, e il tempo vorrebbe esser dispensato in giuochi festevoli e parlari piacevoli, a ciò poi possiamo esser più forti a sopportar il peso de la quadragesima che ci è su le porte, non si disdicendo in questi pochi giorni alquanto licenziosi a le persone religiose da le mondane cose allontanate in giochi onesti diportarsi. Vi narrerò adunque una faceta novella che non è molto a Milano avvenne. E perchè i padri non deveno dar il battesimo ai loro figliuoli, io non vi dirò se la cosa avvenisse a caso od a fortuna, ma vi lascerò porre quel nome che più vi piacerà, imitando in questo l’eccellente dottor di legge e poeta volgare non volgare, messer Niccolò Amanio di buona e recolenda memoria. Egli componeva rime piene di tutti quei colori poetici che se le convengono, ma' 'ne le