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e, come dice il romagnuolo, restano decimi. Eglino fanno come le simie, che quanto più s’innalzono più mostrano le parti vergognose. Nè si deve questo errore attribuire a l’Amore, perciò che egli dal canto suo s’affatica quanto può; ma alcuni nascono sì indisciplinabili che non è possibile d’ammaestrargli. Molti vanno a Parigi, a Pavia, a Padova, a Bologna e in altri luoghi agli Studii generali per farsi dotti in diverse scienze; ma a la fine tanto ne sanno l’ultimo anno quanto il primo, e pure i lettori dottissimi fanno il debito loro. Ora per narrarvi l’istoria che v’ho promessa, vi dico che in Milano fu, ed ancora forse è, un giovane nobile e molto ricco, il cui proprio nome per ora vo’ tacere per buon rispetto, e lo domanderemo fintamente Simpliciano. Era egli bello de la persona e vestiva molto riccamente, e spesso di vestimenta si cangiava, ritrovando tutto il dì alcuna nuova foggia di ricami e di straffori ed altre invenzioni. Le sue berrette di velluto ora una medaglia ed ora un’altra mostravano. Taccio le catene, le anella e le maniglie. Le sue cavalcature che per la città cavalcava, o mula o giannetto o turco o chinea che si fosse, erano più polite che le mosche. Quella bestia che quel giorno deveva cavalcare, oltra i fornimenti ricchi e tempestati d’oro battuto, era sempre da capo a piedi profumata, di maniera che l’odore de le composizioni di muschio, di zibetto, d’ambra e d’altri preziosi odori si faceva sentire per tutta la contrada. Soleva Romano profumiero publicamente dire che messer Simpliciano gli dava più guadagno in una settimana che non davano venti altri giovini nobili di Milano in tutto l’anno, levandone perciò sempre il signor Ambrogio Vesconte, il quale ne lo spender circa i profumi era prodigalissimo. Era adunque il nostro Simpliciano il più polito ed il più profumato giovine di Milano, e teneva un poco anzi che no del portogallese, chè ogni dieci passi, o fosse a piede o cavalcasse, si faceva da uno dei servidori nettar le scarpe, nè poteva sofferire di vedersi a dosso un minimo peluzzo nè altro. Si dava poi egli ad intendere che in Milano non fosse gentildonna nè signora, che non si tenesse bene appagata che egli degnasse di far a l’amor con lei. E perchè troppo più si stimava di quello che valeva, non aveva molta intrinsica pratica con altri gentiluomini, non gli parendo trovarne uno che la sua compagnia meritasse. Per questo quasi per l’ordinario si vedeva sempre solo, seco non avendo altra compagnia che alcuni suoi servidori. Aveva poi un certo suo parlare pieno di melensaggine e fastidio, parlando molto adagio e da se stesso ascoltandosi, di modo che