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travagliarsi, senza dir motto dismontò subito da cavallo e quello per le redine attaccò ad un ramo d’un arbuscello. Era Massimigliano di persona grande e di membra ben proporzionato, con un aspetto veramente imperatorio, la cui nativa bontà e liberalità più che cesarea tutti gli scrittori che di lui parlano, e quelli che praticato l’hanno, sommamente commendano, perciò che mai non chiudeva le mani a chi a lui ricorreva. Ma quando andava a caccia, vestiva certi panni di bigio mischio, in abito vile, ed ancor che egli fosse bellissimo prence, quel suo abito da cacciatore non gli accresceva punto di grazia. Si credeva il contadino che egli fosse alcun cacciatore de la contrada che a caso quivi capitasse, e come dismontato da cavallo lo vide ed apprestarsi per dargli aita, tutto allegro gli disse: – Messere, tenete forte qui, mettete le spalle sotto la soma, porgetemi quella fune, allentatela un poco, alzate quel legno, spignetelo avanti, fate così e fate colà, – e nè più nè meno gli comandava come averebbe fatto ad un suo pari. Il buon imperadore puntalmente faceva il tutto che il contadino gli imponeva e con allegro viso l’aiutava, di maniera che chi veduto l’avesse, non lo conoscendo, l’averebbe giudicato o compagno del contadino o servidore, così gli ubidiva. In questo mezzo cominciarono a quattro, a cinque, a più e meno, ad arrivar i cortegiani ed altri signori che con l’imperadore erano venuti a la caccia, che buona pezza l’erano ito cercando. Eglino, come in tal mestieri occupato lo videro, tutti pieni di meraviglia grandissima dismontarono e con i capèlli in mano gli fecero riverenza; ma egli accennò a tutti che non si movessero, nè volle che uomo di loro mettesse mano a la soma. Veggendo il contadino che tutti che venivano, mentre arrivavano a Cesare, riverentemente s’inchinavano, s’imaginò quello esser l’imperadore, del quale più volte udito aveva dire che molto ne la caccia s’occupava; il perchè, dinanzi a quello inginocchiato, gli chiese perdono de la sua usata trascuraggine. Volle l’imperadore che il buon uomo si levasse e gli domandò chi era. Egli con tremante voce gli disse che era un povero paesano, che aveva moglie e figliuoli e che con vender le legna che faceva, e la moglie filando e lavando panni, guadagnavano il vivere loro, e che altro al mondo non avevano che quel ronzino. – Sia con Dio! – disse Cesare. – Aspetta un poco. – E cavatosi il capèllo, vi mise dentro quanti danari a dosso si trovava. Andando poi ad uno ad uno a tutti quelli che quivi seco si ritrovarono, volle che ciascuno facesse elemosina al pover uomo; e prima gli diede tutti i raccolti danari, poi gli disse: – Tu verrai dimane a trovarmi al tal