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sia che tanto dubio di me in me è caduto, e tanta caligine e sì folta m’ha adombrati ed offoscati i deboli lumi de l’intelletto, che io non veggio ove fermar i piedi e quasi mi pare che quelle poche lettere, – se alcune mai da fanciullo e per tutti gli anni miei imparai, – siano vane e che poco di loro prevaler mi possa. Mi commove nel vero e tutto mi sbigottisce la religione posta negli animi nostri, perciò che troppo avvicinato mi par d’esser a la sublimità de lo stato vostro reale, del quale la vera lode è più tosto la taciturnità con ammirazione di quello, che il presumere con rozzo e zotico stile parlarne. Ed in effetto i regi ottimi, quale voi conosciamo essere, condecente cosa è d’inchinevolmente riverir ed onorare a par dei dèi; nè può fuggire e schivar la colpa del sacrilegio chi il nome vostro senza prefazione d’onore osa nominare. Ecco che io veggio dinanzi agli occhi miei distesa la pompa di tutte quelle opere e fatti eccelsi che in ogni secolo sono stati mirabilissimi, ed ora da voi di maniera superati che, se da noi non si vedessero, non saria chi le credesse. Si racconti un poco la vita di tanti eccelsi eroi e con diligenza siano essaminati gli egregii fatti loro, e vederemo qual azione loro si possa a le vostre, non dico preporre, ma a pena agguagliare. Quivi grida con sonora tromba la chiara, viva e volante fama, che quasi nel principio de la fanciullezza vostra a voi, di varie lingue adornato, ne l’imperiali germaniche diede, gli affari di grandissima importanza che essaminare e trattare vi si devevano, in idioma purissimo alemannico ed in lingua purgata ed elegantissima latina, in nome di vostro zio Carlo, quinto di questo nome, Cesare Augusto, proponevate con tanta grazia, con sì florida e pura eloquenza e con tanta maestà, che tutti gli auditori si vedevano d’estremo stupore pieni, intenti tuttavia a quanto da voi si proponeva. Da l’altra banda già in ogni luogo è divolgato e da verissimi testimoni si conferma, che ne la guerra sassonica voi, non come tirone e giovinetto, ma come milite fortissimo e veterano e da prudente ed essercitato con lunga esperienza capitano, diportato vi sète. Tutti, così grandi come piccioli, che in quel perigliosissimo conflitto si trovarono, con una voce gridano che voi, con la sanguinolenta e fulminea spada in mano, a tutto l’essercito, così imperiale come nemico, deste manifesto segno de la strage ed occisione che degli avversari con la invitta vostra destra animosamente faceste. Onde l’imperador augusto, giudicioso essaminatore de le vertù di ciascuno, mosso da vero vostro valore e da la disciplina militare che in quel fatto d’arme mostraste,