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molto lieta, faceva tutti quei dispetti che poteva a la monaca amica del prete, la quale pazientememte il tutto sofferiva, aspettando tempo e luogo per fare, se possibil era, le sue vendette. Ora, la santa badessa, come persona grata, per non cascar nel vizio de l’ingratitudine che tanto dispiace a ciascuno, deliberò una notte far venir il vescovo a vegghiar ne la camera di lei seco. E sapendo che in quella vegghia si farebbero de le cose che inducono debilità nei corpi umani, avendo una sua fidatissima monaca che in simili bisogni la serviva, con zucchero fino, in camera sua, cominciò a lavorar pinocchiati, marzapani ed altre di varie sorti confetture, e si fece portar dui fiaschi, uno pieno d’ottima vernaccia e l’altro di finissima e preciosa malvagìa. La monaca, disperata per la prigionia del suo don Bassano, che in altro non pensava che farne una a la badessa, che, come si suol dire, si tenesse al badile; veggendo i traffichi che in camera de la badessa si facevano, pensò che senza dubio madonna la badessa voleva far nozze, ma con chi non sapeva indovinare. Onde si mise a vegghiare una e due notti, e chiaramente s’accorse come il vescovo era venuto a giacersi con la badessa. E non questa volta sola, ma sempre che si lavorava di zucchero, trovava che il vescovo veniva a rinfrescarsi. Il perchè, ebbe modo d’aver una chiave contrafatta de la camera de la badessa, avendo già prima fatto contrafare quelle del monastero, col mezzo de le quali introduceva don Bassano. Veggendo dunque l’apparecchio che si faceva, fece per la porta de le carra entrar il suo prete e lo tenne ascoso in camera. Essendo poi la badessa, la vigilia di san Lorenzo, in refettorio con le monache, ella mise don Bassano in camera de la badessa e lo fece appiattare sotto il letto. La notte venne il vescovo e fu introdutto ne la camera solita, ove, poi che si fu confettato e bevuto, se n’entrò monsignore con la badessa in letto; e scherzando tra loro, mise il vescovo le mani su le poppe a la divota e le domandò come s’appellavano. – Mammelle, – rispose ella. – No,' 'no, – soggiunse egli; – ma hanno nome le campane del cielo. – Pose poi la mano sovra il corpo e le domandò come si chiama. – Il corpo, – disse ella. – Voi v’ingannate, vita mia, – rispose il vescovo: – questo è detto il monte Gelboè. E questo, come l’appellate voi, cuor del corpo mio? – e pose la mano sovra il mal fóro che non vuole nè feste nè vigilie. Ma donna la badessa, alquanto sorridendo, non sapeva che dirsi. Alora disse egli: – Io veggio, anima mia, che voi non sapete i veri nomi de le cose. Questa si chiama la valle di Giosafat. – E disse: – Orsù, io vo’ montare su il monte Gelboè