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col cavaliero, e gli domandò onde avesse avuto il ricco anello. Egli sorridendo gli rispose che di grado lo diria a la signora duchessa, e gli faria intender cose che le piaceriano. La duchessa, intesa la risposta del cavaliero, molto mal volentieri si riduceva a parlar seco; ma vinta dal disio d’intendere come egli avesse l’anello avuto, vi si ridusse. Il cavaliero, fatto un breve discorso de l’inganno che si credeva aver avuto per non esser ella ritornata indietro da San Giacomo, e del modo che era assediato quando l’Appiano andò a trovarlo, e del pentimento che non fosse subito venuto a liberarla, come in effetto conosceva che era debitore di dever fare, le narrò che, pervenuto a Turino, prese la pratica del frate spagnuolo, e come fu quello che in prigione le disse la tal e tal cosa, e da lei ebbe il prezioso annello. E tanti contrasegni le diede che ella conobbe chiaramente don Giovanni essere stato il suo liberatore. Onde, messo giù ogni sdegno e riacceso l’intepidito fuoco, a pena si contenne di non gli gettar le braccia al collo e mille volte basciarlo. Parlò poi col re e' 'gli fece conoscere don Giovanni essere stato il suo liberatore, e gli disse: – Signor mio, voi m’avete promesso di rimaritarmi e rimeritar il mio liberatore. E qual marito posso io avere che più mi meriti di questo fedel e valoroso cavalero? – Il re volentieri vi s’accordò e lodò molto il volere de la sorella; onde gli fece insieme con gran piacer de le parti sposare. Volle poi la nuova sposa che la sua fidatissima Giulia si maritasse con l’Appiano; il che fatto, le feste si radoppiarono meravigliosamente. Ed indi a pochi dì, insieme con la prencipessa, bene accompagnati da’ signori inglesi, navigarono tutti di brigata lietamente in Spagna, ove le nozze del prencipe e de la prencipessa si fecero sontuosissime. Don Giovanni medesimamente, andato poi con la sua sposa a le terre sue, tenne molti dì corte bandita, e con quella lungamente in pace visse, lasciando dopo loro figliuoli e nipoti.