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quella esser innocentissima. Aveva la duchessa nel confessarsi detto come il viaggio di San Giacomo era stato finto, e che fatto l’aveva solamente per andar a veder un disleale ed ingratissimo cavaliero spagnuolo. L’essortò assai don Giovanni a perdonar tutte l’offese che mai ricevute avesse. Ella disse che a tutti perdonava di core, come desiderava che Iddio a lei perdonasse; ma che non sapeva già mai come potrebbe perdonar a quello ingrato cavaliero che più che la vita propria amato aveva. Godeva a queste parole tra sè don Giovanni e tuttavia l’essortava a rimetter l’ingiurie. A la fine promise la duchessa di perdonar a tutti. Aveva, come già vi dissi, riserbato la duchessa il ricchissimo diamante; l’oro, le perle e gioielli, con altre cose, che avevano l’Appiano e Giulia, intendeva ella che gli rimanessero, avendole eglino data la fede di maritarsi insieme. Non avendo adunque altra cosa da far elemosina, disse ella al frate: – Padre mio, di tutte le cose mie altro non m’è rimasto che questo diamante, il quale mi donò il re mio fratello, e, per quanto più volte m’hanno detto grandissimi gioieglieri, val più di cento mila ducati. Io ve lo do. Voi potrete venderlo al re di Francia, che molto se ne diletta, e del prezzo che ne caverete fate dir de le messe ed altri uffici per l’anima mia. Maritarete de le povere donzelle e farete de le elemosine assai ai poveri di Cristo e ai luoghi pii. Per voi e vostri bisogni tenetevene quella parte che più vi piace, e pregate Dio per l’anima mia. – Dette poi molte altre cose e raccomandata la duchessa a Dio, uscirono i buoni religiosi de la camera e andarono a casa. Restò la duchessa piena di certa speranza, ma non averebbe saputo dir come. Don Giovanni, avendo donato molti danari al frate, attese per mezzo del suo servidore a far conciar l’arme ove bisognava, e metter ben ad ordine il corsiero. La sera poi del penultimo dì del termine de l’anno e del dì, uscì ben tardi di Turino e si ridusse a casa de l’oste, ove l’altra volta era albergato. La matina poi ne l’apparir de l’aurora, armato come un san Giorgio, se ne montò a cavallo e andò a la porta de la città, e, chiamato uno di quelli che a la guardia stavano, gli disse: – Compagno, va e di’ al conte di Pancalieri che si metta in ordine a mantener la falsa accusa che data ha contra madama la duchessa di Turino, perciò che egli è venuto un cavaliero che si dice campione di lei, che lo farà disdire di quanto a disonore di quella ha detto. – Fece il guardiano l’ambasciata, e il cavaliero andò al petrone ove era scritta l’accusa e a quello appoggiò la sua lancia, e quivi se ne stava, aspettando l’accusatore che fuori uscisse. La fama di questo