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Don Giovanni, fatta attaccar una grandissima scaramuccia, fece uscir fuori il medico e da alcuni dei suoi accompagnarlo in luogo sicuro; il quale, arrivato a Turino, fece per mezzo di Giulia intendere a la duchessa del modo che trovato aveva don Giovanni ed il ragionamento che insieme fatto avevano. La duchessa, udita questa mala nuova, disperata d’ogni soccorso, non sapeva più che si fare nè dire, nè dove per aita ricorrere. Indi alquanti dì poi che l’Appiano partì da l’assediata città, don Giovanni a l’infortunio de la duchessa pensando e seco l’amore di quella rammentando, che da Turino fin in Galizia a piedi se n’era venuta solo per amor di lui, giudicò grandemente aver errato a non esser subito corso a liberarla e mettere non che lo stato suo a rischio di perderlo, ma di perder la vita e mille, se tante n’avesse. E non si potendo di questo fallo dar pace, si deliberò, avvenissene ciò che si volesse, lasciar lo stato suo meglio provisto che fosse possibile, ed incontinente, passando in Italia, usar ogni sforzo per liberar la misera duchessa. Fatta questa ferma deliberazione e rivedute le cose de la città, ritrovò quella esser ottimamente fornita di tutto quello che a mantenersi otto o nove mesi era necessario, sapendo egli i soldati e il popolo che dentro ci era esser fedelissimi. Fece adunque a sè chiamar i primi de la città e i capi dei soldati, e gli disse come deliberato era di partirsi per andar a trovar soccorso per liberargli da l’assedio, e che se fra tal termine non tornava, (e prefissegli un tempo determinato), che provedessero ai casi loro; ma che senza verun dubio innanzi il tempo preso lo vederebbero con grosso soccorso. Ordinò poi che un suo parente, molto valoroso cavaliero, restasse suo luogotenente. Fatta poi dar una forte «a l’arme» a’ nemici, senza esser da quelli veduto, se n’uscì suso un feroce e generoso giannetto, e prese il camino tutto solo a la volta de la Francia, dove pervenuto, comperò un buon corsiero ed arme, ed un servidore pigliò. E non essendo da persona conosciuto, nè dal suo medesimo servidore, passò l’Alpi e si condusse a Turino. Era già prima, come v’ho detto, arrivato il medico, ed ancor che la duchessa avesse perduta la speranza del soccorso di don Giovanni, nondimeno pensando poi un giorno ciò che ella per amor di lui fatto aveva, rientrò in speranza che esser non potesse che egli tanto ingrato fosse che non venisse a combatter per lei contra il disleale conte di Pancalieri; e con questa speranza visse alquanto di tempo. Ma poi, veggendo che nè messo nè ambasciata di lui veniva, ella in tal modo si sdegnò ne l’animo suo che il fervente amore cangiò in fierissimo odio. E pensando ciò che