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La reina, a cui onesta gelosia aveva aperti gli occhi, cominciò con più diligenza del passato a spiar le azioni e gli amori del re, e di leggero s’accorse che quello un suo fidatissimo cameriero aveva, il quale, consapevole de l’animo del padrone, era colui che secondo il voler di quello ora gli conduceva questa femina, ora le menava quell’altra, e nascosamente le faceva entrar nel palazzo e mettersi in alcuna camera; poi quando il re si ritirava per dormire, il detto cameriero gli metteva a lato quella donna che condotta aveva, ed il più de le volte le faceva venir senza lume. Avuta la buona reina cognizione di questo fatto, pensò con quel meglior modo che fosse possibile, di corromper il cameriero e far tanto che in vece d’una di quelle amiche del re, ella di segreto fosse introdutta in letto con il marito. Messasi adunque a la prova, in diverse volte tanto fece e disse e tanto promise al cameriero, che egli si contentò con questo mezzo usare al suo padrone questo onesto inganno; nè troppo indugio diede a l’effetto. Dormivano il re e la reina in un medesimo palazzo, ma in diverse camere, tra le quali non era molta distanzia. Avendo adunque il re dato ordine al cameriero che quella notte gli conducesse una di quelle sue consuete donne, egli ne avvisò la reina, la quale, messasi a l’ordine d’andar a nozze, se ne stava attendendo l’ora. Venuto il tempo oportuno, andò il cameriero e, presa la reina, quella condusse e pose al lato del re, il quale credendosi d’aver una de le sue solite, con la reina più volte amorosamente si trastullò. Avendosi il re preso quell’amoroso piacere che gli parve, ed appropinquandosi l’aurora, diede congedo di partirsi a la reina e chiamò il cameriero che via ne la menasse. Alora la reina, che conseguito aveva quanto era il desiderio suo, così parlando disse: – Signore e marito mio, io non sono quella cui credete, chè, pensando voi esservi giaciuto con una de le vostre amiche, meco stato sète, che sono pur vostra legitima moglie. Io mi fo ad intendere che non debbiate aver a male, se quello che di ragione è mio, non lo potendo io buonamente conseguire, con onesto inganno ingegnata mi sono d’ottenere, con ciò sia che a nessuno fa ingiuria chi usa de le sue ragioni. Voi come re, mio marito e signore, potete, se vi piace, far ogni strazio di me ed uccidermi, ma non potrete già fare che ciò che fatto è, fatto non sia. Pertanto se Iddio sì bella grazia fatta m’avesse, che dei congiungimenti che questa notte sono stati tra noi io restassi gravida, e partorissi al suo tempo un figliuol maschio, erede di questo reame di Ragona, essendo, appo tutto il popolo, publico che voi non vi giacete nè