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S’è parlato oggi assai lungamente, amabilissime donne e voi cortesi giovini, de la varietà di molti accidenti, che sovente fuor d’ogni avvedimento umano sogliono ne l’imprese amorose accadere, e che bene spesso, alora che l’uomo fuor d’ogni speranza di poter conseguire ciò che egli ardentissimamente brama si ritruova, che la speme ritorna viva, e la cosa che per perduta si piangeva subito si racquista. E nel vero questi accidenti il più de le volte sono meravigliosi grandemente a chi ci pensa, e difficili molto a credere a chi l’instabilità de le cose, che sotto il cielo de la luna sono in continovo movimento, non considera. Colui che teneva per fermo de l’impresa sua veder il tanto desiato fine, in un tratto da quello lontano e del tutto privatone si vede. Quell’altro che dopo lunghe ed angustiose fatiche invano adoperate si ritrova, mentre che l’animo de la prima voglia si dispoglia e ad altro camino rivolge il piede, ecco che la già abbandonata cosa inopinatamente in mano si ritrova, di ciò divenuto interamente possessore che d’aver non credeva già mai. E così ne le cose umane con il giro de la sua instabil rota va spesso giocando la ceca Fortuna, la quale se in tutte le azioni sue è varia ed inconstante, ne le imprese amorose inconstantissima si vede. Ma perchè, secondo il volgatissimo dire, vie più de le parole commoveno gli essempi, e di ciò che si parla fanno indubitata fede, egli mi piace, in acconcio di questo, narrarvi un’istoria ne la inclita città di Vinegia avvenuta. Dico adunque che in quella si trovarono dui gentiluomini, come per i publici documenti del severo magistrato degli avvocatori del commune fin oggidì si può vedere, i quali, dei beni de la fortuna abondevoli, avevano i lor palazzi sovra il Canal grande quasi dirimpetto a l’uno l’altro. Il padrone de l’uno si chiamava messer Paolo, il quale aveva moglie con una figliuola ed un figliuolo, senza più, che Gerardo era detto. L’altro gentiluomo era chiamato messer Pietro, che d’una sua moglie altri figliuoli non si trovava, eccetto una sola fanciulla di tredeci in quatordeci