i persuaderla che volesse ber l’olio. In questo era stato portato il corno dell’Alicorno, del quale alquanto di polvere se ne prese, che con una lima si limò; poi, fatto pigliare il rimanente del corno, si mise dentro un bicchiere, sì ben lavato che pareva di argento, e su vi s’infuse acqua fresca, chiara come cristallo. Delio, preso il bicchiere, andò con quello a Cinzia, e le disse: ecco, Cinzia, il rimedio del veleno che bevuto hai; il quale se tu Inni, sentirai in poco d’ora maraviglioso conforto al tuo male: fa buon animo, e bevi animosamente. Su, non tardar più: mira come quest’acqua bolle, e manda in alto i suoi bollori senza che fuoco la scaldi: che questo fa l’occulta virtù, che la maestra natura lui dato a questo corno. E non facendo ella cenno di voler bere, e a Delio nulla rispondendo, ritornò di nuovo a chiuder gli occhi, ed a sudare e tremare. Tutto questo procedeva dalla grandissima imaginazione d’essersi avvelenata. Fu cavato l’osso del corno fuor dell’acqua, e vi l’i i gettata la polvere dentro; onde prese Camillo il bicchiere in mano, ed accostatosi alla giovane, che, cessato l’accidente, era alquanto in sè rivenuta, le cominciò a dire: Cinzia, guardami, e parla meco, che io sono Camillo: non odi? non senti? ascolta, prego, ciò che ti vo’ dire. Fammi questo piacere, se punto marni, e bevi gagliardamente questa benedetta e salutifera acqua, e non dubitar di niente; anzi sia sicura che ella ti darà la vita, e ne vedrai evidente e chiaro effetto. Che fai? ora tu apri gli occhi, ed ora gli chiudi: egli non è tempo adesso di dormire: leva la testa, ed apri gli occhi; e vedi che noi tutti siamo qui per aitarti e cavarti di periglio. Orsù non tardar più: ecco che io ti porgo di mia mano l’acqua con la polvere dentro: bevi; che fai? eccola. A queste parole la giovane, alzato alquanto il capo, ed aperti gli occhi, e quegli affisando molto pietosamente in volte a Camillo, con languida e bassa voce gli disse: Camillo, cotesti tuoi rimedie soccorsi son tardi, e nulla più giovar mi potranno. Come tu puoi vedere, io sono arrivata al desiato fine di questa mia penosa vita, che nomare certamente posso una viva morte. Io infinitamente allegra mi trovo d’esser giunta a questo ultimo passo, il quale tutto il mondo empie di tremore e di spavento; e me rigioisce egli e conforta, come finimento d’ogni male. Ed ancora che io creda e tenga ferma opinione che tutte le medicine del mondo sieno a questo mio male scarse e troppo tarde, e che nulla possano più recarmi di profitto, avendo già il mortifero veleno tutte le parti del mio corpo infette, ed ammorbato anco il cuore; nondimeno per mostrarti che quello che ho fatto, è solamente stato per non