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e volevano astringerlo a distorsi da la pratica di Cinzia, dicendogli che non solamente ella si mischiava con Giulio, ma gli affermarono anco ch’ad altri faceva di sè copia, e che il fatto era di tal maniera certo che non bisognava altra certezza. Nasceva questa credenza perchè la balia aveva bucinato non so che d’alcuni altri giovini, che dicevano aver goduto molte fiate Cinzia. Parve a Camillo, sentendo queste trame sì bene ordite e credendole esser vere, che la terra gli mancasse sotto i piedi, e di sì fatta maniera stordì che non sapeva che farsi. Amava egli sommamente Cinzia, sì perchè credeva da lei esser amato e si vedeva amorosamente accarezzato, ed altresì per le vertuti e buone parti che in quella erano, che molto amabile la rendevano. Ora sentir egli che ella altrui si fosse data in preda, troppo altamente l’affliggeva, e pareva che si sentisse schiantare per viva forza le radici del core. Ma quello che vie più d’ogni altra cosa lo trafiggeva e miseramente tormentava, era che così caro amico, come ei teneva Giulio, gli avesse fatto cotanto oltraggio e sì enorme torto; e di tal guisa questa doglia al core se gli impresse, che fu per gravissimamente infermarsi. Egli ne perdette il sonno ed il cibo, ed altro non faceva che pensare, chimerizzare e farneticare, ora una cosa deliberando ed ora un’altra. Come gli sovveniva de l’intrinseco amore e cordial amicizia che era tra lui e Giulio, parevagli impossibile che esso Giulio mai gli avesse fatto così grande ingiuria e vergogna; ed ancora che veduto l’avesse, non lo voleva credere. Da l’altra parte poi, ricordandosi de le parole de la balia, e veracissime riputandole, era astretto a credere che, se pure effetto veruno d’amore era seguìto tra Giulio e Cinzia, che ella ne fosse cagione ed avessevi tirato Giulio per forza. E tuttavia con questo, troppo duro gli era a sofferire che da un sì caro amico si trovasse di cotal guisa offeso. Sogliono ordinariamente tutte l’ingiurie a chi le riceve esser noiose e gravi a sopportare; nondimeno gran differenza mi pare che sia da la offesa che ti fa il tuo nemico, a par di quella che da l’amico si riceve. Fa l’inimico il suo ufficio quando il suo avversario offende; ma che colui che tu amico tuo credevi ti si volga incontra e sotto la fede de l’amicizia ti faccia nocumento, perciò che cotestui manca del debito, troppo altamente cotal impresa il suo velenoso dardo nel cor imprime e si rende a sopportar difficile. Nondimeno la prudenza de l’uomo, se vuole, a tali accidenti sa provedere e fa che la ragione domina. Ora parendo troppo duro a Camillo che l’amico suo di questo modo concio l’avesse, poi che v’ebbe pensato e ripensato, essendo già alquanti anni che egli aveva la