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che farebbero opera di loro degna, sariano ancora cagione d’ammaestrar coloro che gli scritti loro leggessero, e il tempo che il più de le volte in parlari inutili si consuma e si perde in ciancie che non montano una frulla, si dispensarebbe in legger cose dilettevoli e di profitto, ed assai sovente si fuggiriano molte occasioni di male. Nè saria da dubitare che soggetti e materie da scrivere loro mancassero già mai, perciò che essendo il regno d’Amore senza misura grande, ed avendo egli servidori infiniti e di varie disposizioni, è necessario che ogni dì nascano diversi effetti; i quali, essendo buoni ed onorati, invitano l’uomo ad operar bene e vertuosamente, e conoscendosi tristi e biasimevoli, sono proprio un freno a frenar gli appetiti disordinati e non lasciare che si precipiti strabocchevolmente in simili errori. Ritrovandosi adunque in Lombardia, già alcuni anni sono, una molto onorata e gentil compagnia, per via di diporto, in un amenissimo giardino, sotto un pergolato d’odoriferi gelsomini, a sedere su la minuta, verde e fresca erbetta, dipinta da mille varietà di vaghi e odoriferi fiori, dove erano alcune cortesi e valorose donne ed alquanti costumati e vertuosi giovini, dopo molti ragionamenti s’entrò a metter in campo il parlar d’amore, come soave e dolcissimo condimento di tutti i parlari che tra liete brigate si fanno. Quivi essendo messer Luca Valenzano, uomo di buone lettere e ne le compagnie lieto e festevole e dicitore soavissimo, fu da alcuni pregato, se aveva cosa veruna per le mani che loro devesse porger diletto, a fine che il tempo piacevolmente si passasse, la volesse dire. Egli che cortese era e gran servidore di donne, narrò un pietoso caso che non molto innanzi era avvenuto. Piacque assai a tutti, per quello che mostrarono, il favellare del Valenzano, e tutti insiememente m’astrinsero a volerlo scrivere ed al numero de l’altre mie novelle porre; il perchè tale qual fu la cosa narrata, l’ho io a parte per parte scritta. Ora volendo io le mie sparse novelle ridur in uno per metterle l’ultima mano, ho trovata questa; e, devendo con l’altre esser veduta e letta, m’è paruto necessario non la mandar fuori senza il suo scudo tutelare, come a tutte l’altre dar soglio, a ciò che contra questi critici riprensori e fieri morditori de le cose altrui si possa coprire. È bene perciò vero che se per mio conseglio si reggerà, ella e l’altre compagne non si lasceranno vedere a patto nessuno a questi che così hanno domate e sottoposte le loro passioni ed in modo macerati e vinti gli appetiti, come si fanno a credere, che vanamente si gloriano non far cosa alcuna