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il conte Gian Aloise e fratelli legitimi, ebbe in una bella gentildonna genovese, sua innamorata, un figliuolo chiamato Cornelio ed una figliuola che si noma Claudia, giovane bella ed aggraziata e di bei costumi ed avvenevole molto. Questa fu assai giovanetta data per moglie a Simone Ravaschiero, figliuolo di messer Manfredi, uomo ricco e dei primi di Chiavari. Fece questo messer Manfredi per due ragioni volentieri questo parentado, sì per aver il favore del conte contra il conte Agostino Lando, col quale piativa la giurisdizione d’un castello a le confini del Piacentino. Fu condotta la sposa a Chiavari, ove le nozze furono fatte convenienti a lo sposo e a lei. Ella, avvezza a quella onesta libertà e leggiadro praticare che in Genova usano le donne maritate e le giovani da marito, viveva molto lietamente, ed usava con tutti una domestichezza affabile e piacevole. Di lei e de le sue belle maniere ed onesti costumi, veggendola bella ed allegra, s’innamorò fieramente Giovan Battista da la Torre, uomo di stima ed assai ricco in Chiavari, e cominciò in ogni luogo ov’ella andava a seguitarla. E perchè la vedeva ogni giorno e seco spesso ragionava, ingegnavasi con belle parole il suo amore farle manifesto. Ella che punto melensa non era ma avveduta molto e scaltrita, come egli le ragionava d’amore, burlava con lui e scherzava, ma mai non gli rispondeva a proposito, e di quel ragionamento travarcava in un altro, e gli dava sovente il giambo. Ma il giovine, che altro cercava che chiacchiare e motti, e che averia voluto giocar a le braccia con lei in un letto, attendeva pure a dirle il fatto suo ed apertamente discoprirle in quanta pena viveva, usando di quelle parole che i giovini innamorati a le lor donne costumano di dire. Il che indarno il povero amante faceva, perciò che ella non era disposta a far cosa che egli si volesse, che fosse meno che onesta. Onde egli si trovava molto di mala voglia, e stando le cose in questi termini, e di giorno in giorno quanto più mancava in lui la speranza di venire a capo di questo suo amore e posseder la cosa amata, più crescendo il disio, non cessava corteggiarla, e quando in destro gli veniva, si sforzava renderla capace de le pene che diceva sofferire, ancor che ella sempre gli rispondesse d’una maniera: che ella non era per attendere a queste ciance. L’appassionato ed acceso amante, veggendosi andare di male in peggio, ed a le sue fierissime passioni non ritrovando conforto alcuno, viveva in una pessima contentezza e non sapeva che si fare. Ritirarsi da l’impresa e più non amar colei che fervidissimamente amava, gli era impossibile, ancora che più e più volte vi si mettesse, e si sforzasse d’ammorzar le cocenti fiamme che