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messo discordia tra’ svizzeri. Mi direte forse che il papa gli potrebbe far ostacolo: io non veggio che Sua Santità s’armi, nè so che confederati seco siano; e la Chiesa per sè non gli potrà far resistenza, essendo tempo adesso che l’armi spirituali, (a tale siamo venuti), non si temeno quasi più. In questi adunque tempi, che un giovanetto abbia voluto prender il dominio de la patria dipendente da l’imperadore, arguisce veramente un animo cesareo. E se egli non cadeva in mare, era senza dubio, come si dice, fatto il becco a l’oca, essendosi già insignorito de le galee e fornito due porte de la città. Considerate un poco la capacità de l’animo suo, che tanta e sì difficile impresa, senza communicarla a nessuno che si sappia, ha molto tempo da sè masticata e a l’ultimo digesta. Non si sa che la sera de la notte che fece l’effetto, che egli agli invitati scoperse in parte l’animo suo, e che dicendogli il da bene e dotto messer Paolo Pansa, che lui e il padre come figliuoli allevati aveva, che cosa voleva fare e che pur assai si meravigliava che non gli scoprisse il fatto, che gli rispose: «Se io credessi che la camiscia sapesse i concetti del mio core, io l’arderei»?. Il che molto innanzi era stato da Catone detto. Non si sa anco che ordinò che a messer Andrea Doria ne la vita non si desse nocumento, dicendo che da lui, come da tutore suo testamentario, aveva ricevuti di molti piaceri? Si sa poi che al conte Girolamo suo fratello non palesò di voler insignorirsi di Genova, ma solamente di' 'volersi vendicare d’un suo nemico, e gli comandò che andasse a la volta di Banchi e quivi aspettasse, chè poi gli manderia a dire ciò che voleva che facesse. Ma è gran cosa che in questa nostra vita umana l’uomo di rado, (o non voglia o non sappia o non possa), sia o in tutto buono o in tutto tristo: chè se pure egli voleva impadronirsi de la patria, deveva levar via tutti gli ostacoli che a farsi signore impedir il potevano o rendergli l’impresa difficile. Ma egli non si può interamente esser perfetto. Tuttavia quanto ha fatto mostra il valore e la magnanimità del suo core. E se tante parti e doti che in lui erano fossero in un vecchio, sarebbero lodate; molto più deveno esser in uno giovinetto ammirate e celebrate. Una cosa sola al mio giudicio gli è mancata: che non è stato indovino, e provisto, se moriva, che l’impresa rimanesse ne le mani dei fratelli con la vittoria. Ma egli era uomo e non Dio, e un uomo ne vale mille, e mille non vagliono uno. Ora io mi son lasciato trasportare, non so come, a parlar di questo singolar giovine, e quasi m’era uscito di mente quello che narrarvi aveva promesso. Vi dico adunque che il conte Sinibaldo Fiesco, oltra