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novella xxxvii. 139

schiarsi negli animi dei Genovesi, ed imprimer nei cuori di ciascuno una infinita espettazione di se stesso: tacerò quella sua avanti il tempo matura prudenza, che generalmente usava in farsi il popolo di Genova amico ed agumentare la benevolenza della nobiltà, di modo che i popolari l’amavano e riverivano, e i nobili l’osservavano, e tutti l’avevano in osservazione. Tacerò il credito e riputazione che appo i paesani della riviera di Levante e nelle montagne verso il Parmigiano e Piacentino aveva. Tacerò che dai sudditi suoi, ai quali di giustizia in un minimo punto mai non mancava e nei bisogni loro soccorreva, come un Dio era adorato e, da chi seco nelle giurisdizioni confinava, avuto in grandissimo rispetto. Tacerò che i fratelli suoi amava come se stesso, e voleva che a par di lui e viepiù fossero onorati. Tacerò come agli amici si mostrava benevolo, domestico, facile ed aiutore, e come acerbamente l’ingiurie vendicava. Era egli in questo da Cesare, perpetuo dittatore, molto dissimile, il quale nessuna cosa soleva obliarsi già mai se non le ricevute offese. E perchè circa questo l’istoria che io intendo narrare vi dimostrerà quale egli si fosse, io tacerò assai altre sue parti e passerò a dirvi dell’impresa che egli ultima in vita sua ha fatto. Nè io per ora voglio disputar se sia bene o male occupar la libertà della patria, non mi volendo opporre a chi biasima chi l’occupa, nè a Giulio Cesare che occupando la republica partorì il romano imperio, e spesse fiate allegava il verso d’Euripide, che se la ragione deve esser violata, si deve violare per cagione d’acquistarsi un dominio. Ci sono perciò che dicono lui non aver occupata la patria, ma esser stato fatto da le leggi e dal popolo dittatore perpetuo, e che non levò i giudizii nè sparse il sangue civile, anzi a molti suoi nemici perdonò. Ma tornando al conte Gian Aloise, dico che se si considera l’impresa che egli ha fatto ed in che tempo, che non si può giudicare se non che fosse giovine di grandissimo coraggio, e che deve esser lodato, perchè nelle cose grandi aver voluto por mano è ben assai. Egli s’era messo a far questa impresa, essendo Carlo imperadore armato e nel corso delle sue vittorie in Alemagna e signore quasi di tutta Italia, levatone quell’angulo che i veneziani possedono. Egli ha i reami di Napoli e Sicilia e il ducato di Milano in suo potere. Mantova gli guarda in viso e ad ogni suo cenno ubidisce. Ferrara che può far altro che essergli aiutrice? E tanto più gli sarà, quanto che si dice che ha esso imperadore abbassato l’orgoglio di Sassonia, e troncate l’ali a la più parte di quei prencipi tedeschi, e a sè tirato parte delle città franche e