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sia aver un re in abbandono, del quale ad ogni vostra voglia possiate prevalervi e disponer il tutto come più v’aggradirà. Voi avete quattro figliuoli maschi, nè a tutti onoratamente sodisfar potete, onde io v’impegno la fede mia che ai tre ultimi, di stato tale provederò, che mai non porteranno al maggiore invidia. Voi sapete pure com’io so gratificare chi mi serve. Pertanto, se a voi di ciò che da voi desidero parrà quello che a me pare, in breve vederete il frutto che ve ne seguirà; chè se io non sono stato agli altri ingrato, a voi meno sarò, ne le cui mani metto la vita e la morte mia. – In questo parlare il re da gravi singhiozzi subito impedito e da caldissime lagrime sovrapreso, non possendo più favellare, si tacque. Il conte, udite le parole del suo re che non mezzanamente amava, e le lagrime vedute che d’interna e gravissima passione facevano manifesta fede, nè di ciò sapendo la cagione, e il tutto se non quello per cui era domandato imaginandosi, da grandissima pietà commosso, al re sì larga proferta di se stesso, dei figliuoli e d’ogni suo avere fece, che far la maggiore era impossibile. – Comandatemi pure, – diceva egli, – o signor mio, ciò che volete ch’io faccia senza rispetto veruno, chè io vi giuro ed impegno la fede mia, a voi prima che ora per omaggio ubligata, che quanto questa mia lingua potrà, quanto l’ingegno e le forze mie varranno, voi sarete da me fedele e lealmente servito. Nè solamente di tai cose sono io ubligato a servirvi, ma bisognando sarò presto la vita mia metter a rischio di mille morti. – E chi sarebbe stato colui che ad un suo prencipe in simil caso risposto altrimenti avesse? e chi averebbe pensato che il re al conte Ricciardo, che conosceva esser cavaliero d’onore, devesse una cotal richiesta fare? Ma sovente nascono de le cose che sono fuor d’ogni credenza umana, come nel vero fu questa. Ora il re avendo sentito il parlar del conte, tinto il viso di mille colori ma tuttavia per amore divenuto audace, con voce perciò alquanto tremante, in questa forma gli disse: – La vostra Aelips, conte mio caro, è la sola cagione che me infinitamente contento e voi con tutta casa vostra può felice fare, perchè io assai più che la vita mia l’amo e de le sue divine bellezze sono in modo acceso che senza lei viver non posso. Pertanto, se desiderate di servirmi, se caro v’è ch’io viva, adoperatevi seco che ella degni d’amarmi ed abbia di me compassione. Nè crediate che io senza estremo cordoglio e vergogna infinita a sì leale e perfetto servidore ed amico, come sempre v’ho riputato e più che mai riputo, così fatto servigio richieda; ma scusimi appo voi amore, che può troppo più che nè voi nè