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il grave error mio, ma perchè conoscendo voi che io più non sia mio nè più abbia la mia libertà in mano, di me vi caglia avendomi compassione, e pietà di me vi prenda. Chè e dir il vero, sì ne la pania degli sfrenati miei desii avviluppato mi sono, che quantunque io veggia il meglio, al peggiore nondimeno m’appiglio. Io, ahi lasso me! io che i nemici miei per mare e per terra così gloriosamente ho vinto; io che il nome inglese per tutta la Francia ho fatto di riverenza, d’onore e di tèma degno; da un voluntaroso e disordinato appetito mio mi sento in modo legato e vinto ed al basso messo, che più in poter mio non è di sciogliermi e rilevarmi. Questa vita mia, che più tosto morte si può chiamare, è così d’ogni angustia e mortal pena colma che l’albergo di tutti i mali son io e solo recettacolo d’ogni miseria. E quale scusazione al fallo mio si può ritrovare che vaglia? Certo se pur la vi si trovasse, ella saria molto frivola, debole e vana. Una sola n’ho, che essendo ancor giovine e vedovo, mi pare che il lasciarmi nei lacci amorosi irretire non mi si disconvenga. E poi che assai sforzato mi sono le redine ed il freno de le mie voglie ripigliar in me e che ogni mio sforzo è riuscito vano, altro rimedio a le mie mordaci pene non so più che sperimentare se non buttarmi, conte mio caro, ne le vostre braccia. Voi, la vostra mercè, al tempo di mio padre più e più volte in mille imprese che non meno' 'di periglio che di gloria avevano, e poco avanti in Scozia per me ed in Francia, abondevolmente il sangue vostro avete offerto e talora anco sparso. Voi, – e chi lo sa meglio di me? – in molti perigliosi casi, d’ottimo conseglio sovvenuto m’avete e mostratomi il dritto camino per condur l’imprese al più facil e desiato fine, nè una volta solo a farmi servigio e profitto vi sète ritroso o stracco mostrato già mai. E perchè da voi dunque non debbo in tanto mio bisogno sperar tutta quella aita che uomo da uomo aspettar possa? chi sarà colui che le sue parole mi neghi a favor mio spargere, se già a mio profitto il sangue ha sparso? Io, o conte, altro soccorso da voi non voglio che di parole, le quali se faranno quel frutto che io, se vorrete voi di buon cor servirmi, aspettar posso e sperare, vosco m’offero il mio reame partire e farvene tutta quella parte che più vi sarà a grado. E se forse ciò ch’io vi chiederò vi parrà troppo duro a mandarlo ad essecuzione, considerate, vi prego, che un servigio tanto è più gradito quanto con più difficultà si fa, quanta più fatica vi si dura e pena vi si mette, e quanto più di travaglio e di sconcio piglia colui che vuol l’amico suo servire. Pensate medesimamente quello che