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venuto il capitano, con meraviglia grandissima di chiunque l’udì, gli comandò che alora alora andasse a pigliar il conte Ugo ed in ferri e ceppi lo mettesse ne la torre del castello verso la porta del leone, ove adesso stanno impregionati don Ferrando e don Giulio fratelli del duca. Poi comandò al castellano che, presa la marchesana, la facesse porre ne l’altra torre. Indi agli astanti narrò la cagione di queste commissioni. Giocava a la palla, com’è detto, lo sciagurato conte Ugo, e perchè era giorno di festa, che i popolani sono scioperati, tutta Ferrara era a vederlo giocare. Arrivò con i suoi sergenti il capitano in piazza e per iscontro a l’orologio vituperosamente al conte Ugo diede de le mani a dosso, e con universal dolor di qualunque persona a così fiero spettacolo fu presente, quello legato condusse in prigione. Il castellano medesimamente impregionò la marchesana. Quella stessa sera il fiero padre mandò dui frati di quelli degli Angeli al conte Ugo, dicendoli che al morire si preparasse. Egli intesa la cagione di tanto inopinato annunzio e del suo infortunio, amaramente il suo peccato pianse e a sofferir la meritata morte con grandissima contrizione si dispose, e tutta la notte in santi ragionamenti e detestazione del suo fallo consumò. Mandò anco a chieder perdono al padre de l’ingiuria contro quello fatta. La marchesana, poi che si vide imprigionata e seppe il conte Ugo esser cattivo, supplicò assai di poter parlar al marito, ma ottener la grazia non puotè già mai. Mandògli adunque dicendo come ella sola era consapevole e quella che il conte Ugo aveva ingannato, onde degno era che ella sola de la commessa sceleraggine fosse punita. Intendendo poi che a tutti dui si deveva mozzar il capo, entrò in tanta furia che mai non fu possibil d’acquetarla, chiarissimamente dimostrando che nulla o poco de la sua morte le incresceva, ma che di quella del conte Ugo non poteva aver pazienza. Ella altro giorno e notte mai non faceva che chiamar il suo signor Ugo, di modo che per tre continovi giorni che in prigione dimorò, sempre nomando il conte Ugo se ne stette. Aveva anco il marchese mandato dui frati a confortar la marchesana e disporla a sofferir pazientemente il supplicio della morte; ma eglino indarno s’affaticarono. Da l’altra parte il contrito giovine perseverò tre continovi giorni in compagnia dei dui frati, sempre di bene in meglio disponendosi a la vicina morte e ragionando di cose sante. Passato il terzo giorno, la matina a buon’ora un di quei frati gli disse la messa; ed in fine il giovine con grandissime lagrime chiedendo a Dio e al mondo perdono dei suoi peccati, prese divotamente il sacratissimo corpo