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col malanno e non mi rompete più il capo con queste vostre false imaginazioni. Mò che febre peggio che continova è la vostra? Io non potrò ormai più con voi vivere. Se avete gelosia de le mosche che per l’aria volano, che ve ne posso fare? Andatevi ad impiccare, e uscirete di questi vostri chimerici affanni. – Il giovine rispondendo: – Madonna, poi che me lo comandate, ed io lo farò, – partì di sala ove erano, e andò ne la camera de la Calora e quivi dentro si chiuse. Era in camera il calamaio con inchiostro e carta, onde egli, come poi si puotè conietturare, tolse de la carta e scrisse una cedula con queste formali parole. – Poi che io volontariamente ho deliberato morire, con quella instanzia che per me si può maggiore prego il reverendo priore e i frati de la venerabil chiesa di San Domenico che vogliano seppellire il mio corpo ne la sepoltura dei miei avi. – Questo scritto egli si mise ne la scarpa sinistra di modo che pendeva fuor la metà. Scrissene poi un altro di questo tenore: – Con ciò sia cosa che questi anni passati io Francesco Totto volontariamente per mano di publico notaio facessi libera donazione d’ogni mia facultà a la valorosa madonna Bartolomea Calora in ricompensa di molti beneficii da lei ricevuti, per questa cedula scritta e sottoscritta di mia mano, di nuovo faccio detta donazione e la confermo, e voglio che senza impedimento alcuno abbia luogo. – Questo scritto egli ritenne ne la mano sinistra. Fece poi il terzo bollettino che diceva così: – Morendo io di propria voglia, e a la morte non essendo da nessuno astretto se non dal mio volere, prego mia madre e tutti i miei parenti ed amici che non cerchino de la mia morte far contra persona che sia vendetta, perchè nessuno ci ha colpa se non io solo che per amore ho voluto darmi la morte. – Questo bollettino egli si mise in bocca da quel capo ove niente era scritto. Erano tutti tre i bollettini sottoscritti col suo nome, e col dì, mese ed anno che furono fatti, che fu del millecinquecentoventi. Ordinati gli scritti, prese le sue cinture de le calze e la cinta de la spada che a lato portava, e di quelle fece un laccio, il capo del quale attaccò ad un chiodo che pendeva fuor d’un trave, essendo salito suso un alto cascione, e il laccio si annodò al collo e lasciossi giù cadere, di modo che il collo al misero amante si fiaccò. La donna poi che gran pezza stette e vide che l’amante secondo il solito non riveniva, disse ad una sua fanticella: – Tu va, vedi ciò che fa quel pazzo e dilli che venga qua. – Andò la fante e trovò chiusa la camera e picchiò due e tre volte. La Calora sentendo picchiare disse: – Egli bisogna che io vada, – e giunta a l’uscio, bussato buona pezza e chiamato l’amico molte fiate per