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la schiava nulla di se stessa curando, solamente essortava la padrona a sopportar in pace la morte, poi che così altamente s’era vendicata.


Il Bandello al valoroso signore il signor Claudio Rangone salute


Vi piacque, signor mio, questi dì menarmi a desinar con voi quando partimmo da l’alloggiamento di messer Aluigi Pisani, per la signoria di Vinegia in campo sotto Milano proveditor generale. Venni adunque con voi al vostro padiglione, dove trovammo il nostro messer Bernardo Tasso che ci attendeva per esser venuto a desinar con voi. Ci mettemmo a tavola e tuttavia desinando si cominciò a ragionare tra noi de le rime de la lingua volgare. Quivi il Tasso recitò alcuni bellissimi sonetti composti da lui in lode de la molto vertuosa signora Ginevra Malatesta, i quali essendo da voi molto lodati, voi anco voleste ch’io recitassi alcune de le mie rime. Il che feci più per ubidirvi che perchè giudicassi nessuna de le mie composizioni, che basse ed insulse sono, deversi a parangone di quelle del Tasso recitare. Così adunque col mangiare mischiando soavi e dolci ragionamenti e d’uno in altro parlamento travarcando, entrammo a ragionare dei varii effetti che tutto il dì veggiamo a certi amatori fare, che certamente sono effetti pieni di meraviglia e stupore, veggendosi la grandissima differenza che è tra loro, secondo che varie sono e molto differenti le nature degli operanti cotali effetti. Quivi uno dei vostri servidori cominciò a voler narrare un caso avvenuto a Modena, il quale io questi anni passati udii recitare al dotto giovine messer Gianfrancesco Furnio e lo scrissi. E dicendo io, dopo che il vostro assai brevemente detto l’ebbe, che già scritto l’aveva, voi mi pregaste ch’io ve lo facessi vedere. Il che ora faccio, ed essa novella dal Furnio narrata vi mando e al nome vostro consacro. State sano.


NOVELLA XLIII