Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
di mia madre, dei miei fratelli e di Pietro suo servidore, che è qui, in casa mia mi sposò e meco più di quindici mesi quasi ogni notte come mio marito si giacque. Egli poi non avendo riguardo che io era sua legitima moglie, questi dì, come per tutta Valenza si sa apertamente, la figliuola del signor Ramiro Vigliaracuta ha sposato, la quale esser non poteva sua, essendo io prima di lei legitimamente sposata. Nè bastandogli questo, come se io sua putta e bagascia stata fossi, ieri sfacciatamente venne a trovarmi e mille favole e menzogne mi disse sforzandosi darmi ad intender il nero per il bianco. Ed a pena da me partito mi mandò Pietro che qui si vede, a dirmi che questa notte passata egli voleva venir a giacersi meco. Il che, come Pietro può testificare, io gli concessi, parendomi esser aperta la via a prender di lui quella vendetta che per me si poteva. Perciò son qui venuta, giustissimo vicerè, a ciò che da me voi il tutto intendiate. Io nè a negar nè a pregare mi saprei disporre, parendomi che troppo gran vigliaccheria sarebbe d’una cosa volontaria e pensatamente operata temer punizione. Voglio adunque, il vero con buon viso liberamente confessando, diffender la fama mia, a ciò che se nessuno per il passato ha di me sinistra openione avuta, sappia ora certissimamente che io del signor Didaco Centiglia moglie vera sono stata e non bagascia. Mi basta che l’onor mio sia salvo, avvenga mò ciò che si voglia. Io, signor vicerè, questa notte passata, con l’aiuto di questa schiava che meco è, da la ricevuta ingiuria stimolata, quella vendetta ho preso che m’è paruta convenevole a l’ingiuria che egli fuor d’ogni ragione, non l’avendo io offeso, m’ha fatta, e con queste mani da quello scelerato corpo ho la vituperosa anima cacciata. Egli l’onore tolto m’aveva ed io a lui ho la vita levata. Ma quanto più si debbia l’onore che la vita apprezzare è troppo manifesto. – E quivi puntalmente il modo che tenuto aveva in ammazzarlo e come voleva far fuggir la schiava, narrò. Rimasero udendo questa tragedia tutti quei signori fuor di loro, e giudicarono la donna esser di più grand’animo che a femina non apparteneva. Fu mandato a tòrre il miserando corpo del cavaliero che a tutti diede un orrendo spettacolo. Furono essaminati la madre, i fratelli ed il servidore, e si trovò che in effetto egli non poteva di ragione sposar la seconda moglie. E sovra la morte del cavaliero fatta inquisizione diligentissima, altri non si trovarono colpevoli che Violante e Giannica, le quali publicamente furono decapitate, e andarono tutte e due così allegramente a la morte come se fossero andate a festa e, per quanto s’intese,